Clausola Minimo d’Affari nel Contratto di Agenzia: 5 Regole da ricordare
Clausola Minimo d’Affari: che cosa significhi sembra scontato, ma esaminando le clausole contenute nei contratti le cose stanno diversamente.
Dire “Clausola Minimo d’Affari” è, o dovrebbe essere, solo una espressione semplificata per definire una clausola che prevede che in caso di mancato raggiungimento di importi minimi di fatturato pattuiti, la mandante avrà espressamente facoltà di adottare specifiche misure a propria tutela.
Anzitutto, dunque, la previsione di un minimo d’affari deve prevedere quali conseguenze si verificano se il minimo non viene raggiunto.
Una Clausola Minimo d’Affari senza che sia associata alcuna espressa conseguenza a carico dell’agente non attribuisce infatti alla mandante alcun automatico diritto di fare qualcosa.
Stabilire cioè semplicemente che l’agente per l’anno X deve conseguire almeno Y di fatturato e null’altro, non attribuisce automaticamente alla mandante alcun diritto qualora tale Y di fatturato non venga raggiunto.
Clausola Minimo d’Affari: per valere qualcosa deve stabilire espressamente cosa succede nel caso in cui il minimo non viene raggiunto
Fatta questa premessa, vediamo allora quali conseguenze possono essere espressamente pattuite in caso di mancato raggiungimento del minimo d’affari, per poi risalire a quale sia la modalità più opportuna per quantificare tale minimo e a come debba essere gestita la Clausola Minimo d’Affari.
Al mancato raggiungimento del minimo d’affari, possono in particolare essere associati:
1) variazione di zona senza preavviso
2) eliminazione dell’esclusiva di zona
3) cessazione automatica del contratto per giusta causa ai sensi dell’art. 1456 c.c.
Nella prassi, la conseguenza più frequentemente prevista e invocata è la n. 3, cioè la cessazione automatica del contratto senza riconoscere preavviso né indennità di fine rapporto ai sensi di una specifica norma del Codice Civile, cioè dell’art. 1456 c.c., chiamata “Clausola risolutiva espressa”, che consente alle parti di predeterminare quando un comportamento è grave al punto da provocare la cessazione del contratto.
Fino a non molto tempo fa, la sola previsione nella Clausola Minimo d’Affari che al mancato raggiungimento dell’importo stabilito il contratto di agenzia può ritenersi interrotto per giusta causa ai sensi dell’art. 1456 c.c. era sufficiente per far perdere effettivamente all’agente il diritto al preavviso e alle indennità di fine rapporto.
Si ricorda infatti che, a parte il F.I.R.R., l’agente ha diritto alle indennità di fine rapporto solo quando il rapporto cessa per una causa imputabile alla preponente, ma non invece quando il rapporto cessa per una giusta causa imputabile all’agente (se vuoi approfondire quando l’indennità è dovuta o non dovuta clicca qui)
Dal momento che la normativa nazionale prevede una norma (l’art. 1456 c.c. appunto) che consente di predeterminare la gravità di un comportamento, per lungo tempo la giurisprudenza ai fini della verifica circa la sussistenza della giusta causa, e conseguentemente della perdita dell’agente alle indennità, si è limitata a verificare se il minimo d’affari fosse o meno stato raggiunto, senza entrare nel merito dell’ammontare di tale minimo e senza valutare se realmente l’inadempimento fosse grave poiché “prendeva per buona” la preventiva valutazione di gravità che le parti avevano fatto al riguardo.
Con il tempo tuttavia, poiché la sanzione della perdita delle indennità di fine rapporto a seguito del “mero” mancato raggiungimento di un importo minimo pareva particolarmente penalizzante per gli agenti, la giurisprudenza ha iniziato a mutare il proprio orientamento negando che la gravità dell’inadempimento dell’agente potesse essere predeterminata a priori ma richiedendo che, pur in presenza di una “clausola risolutiva espressa”, la gravità andasse accertata di volta in volta.
Conseguentemente l’attuale tendenza è quella secondo la quale non è più sufficiente a far perdere preavviso e indennità che l’agente non raggiunga il minimo pattuito nella Clausola Minimo d’Affari, ma è anche necessario che questo inadempimento sia di per sé grave, onerando quindi la mandante della prova di un elemento ulteriore che prima non aveva.
In questo senso si sono espresse Cass. civ. Sez. Lavoro , 18.05.2011 n. 10934; T. Bari 2 maggio 2012 ; C.d.A. Milano 13 febbraio 2013. Nel senso invece di ritenere che non sia necessario dimostrare la “gravità” in quanto predeterminata: Tribunale di Parma, sentenza n. 989 del 2013.
Ciò detto, nonostante le “oscillazioni” della giurisprudenza, l’opportunità di inserire comunque una clausola risolutiva espressa del contratto legata al mancato raggiungimento dei minimi, nel rispetto delle regole che seguono, rimane: la cessazione del contratto sulla base di una disposizione liberamente pattuita mette comunque l’agente nella condizione di dover sostenere un contenzioso che talvolta, con riguardo ai contratti che abbiano un valore “provvigionale” non particolarmente elevato, non appare conveniente; per i contratti invece di valore importante può costituire un buon strumento per addivenire ad una mediazione.
Anche tenendo conto della nuova tendenza giurisprudenziale, è importante che nella stesura e nella gestione della clausola minino d’affari vengano seguite alcune indicazioni.
1) Come determinare il minimo d’affari
Si tratta di un “minimo” di vendita, non dell’importo che l’azienda giudica come ottimale da raggiungere ai fini della crescita aziendale.
Si tratta di una differenza importante poiché il “minimo” di vendita deve intendersi come “minimo” per la sopravvivenza del contratto di agenzia.
Questo non significa che si possa prevedere un “incremento” rispetto ad un certo valore di riferimento, ma il concetto è che deve trattarsi di una soglia sotto la quale è inaccettabile una prosecuzione del rapporto.
Il minimo in quest’ottica dunque non deve o non dovrebbe coincidere con la “media” del fatturato aziendale, né con gli obiettivi di crescita aziendali, ma deve essere concettualmente ad essi inferiore.
Nulla vieta naturalmente di attribuire all’agente anche dei veri e propri “obiettivi di vendita” ma ad essi sarà più propriamente collegato un “premio” incentivante.
Il minimo d’affari non deve coincidere con l’obiettivo per ottenere un premio
Il minimo di vendita quindi dovrebbe essere “calibrato” e “personalizzato” di volta in volta per ciascun agente, tenendo conto dell’andamento del rapporto, dell’andamento del mercato e dell’andamento degli affari delle zone limitrofe.
Sono da evitare quindi quelle forme di determinazione del minimo d’affari “automatiche”, basate semplicemente sugli importi degli anni precedenti, senza alcuna analisi critica degli stessi.
Mantenendo questa prospettiva sarà senz’altro più agevole giustificare che il mancato raggiungimento del minimo così determinato sia effettivamente grave.
2) Il minimo d’affari va ”pattuito”
Affinchè abbia una qualche valenza, il minimo di vendita deve essere “pattuito”.
Per pattuito si intende che il documento nel quale è riportato l’importo deve risultare sottoscritto non solo dal preponente ma anche dall’agente.
La mera comunicazione dell’importo da parte della mandante non è quindi sufficiente.
Sarebbero da evitare il più possibile le forme di sottoscrizione della preponente e dell’agente in momenti separati.
Capita infatti che le mandanti inviino il minimo all’agente rimanendo in attesa di una sua sottoscrizione.
La quale spesso non arriva.
In tal caso la previsione del minimo non avrà alcun effetto.
L’importo del minimo d’affari va firmato per accettazione dall’agente
Per lo stesso motivo, sono da evitare formule di accettazione “tacita” (es: se l’agente non restituisce firmata per accettazione la comunicazione entro X giorni, la stessa si intende tacitamente accettata), così, come già detto sopra, forme di rinnovo automatico.
Inoltre è opportuno che nella comunicazione contenente l’importo del minimo d’affari si utilizzi la stessa espressione prevista nella clausola contrattuale che disciplina tale situazione e si faccia altresì espresso richiamo a tale clausola contrattuale (es.: se la clausola del contratto parla di “minimi di vendita”, non utilizzare nella comunicazione espressioni come “target” o “budget”, che potrebbero invece riferirsi a obiettivi “premianti”).
3) La clausola va applicata
Se anche viene pattuito adeguatamente il minimo di vendita ma poi la mandante, pur ricorrendone i presupposti, non attiva la clausola ripetutamente perché non lo ritiene opportuno, rischia di non potersene avvalere nel momento in cui ritiene vi sia la necessità.
E’ vero che, siccome deve essere fatta comunque una valutazione della gravità, la stessa possa essere rilevata a prescindere dal fatto che la clausola sia stata o meno applicata in passato.
Tuttavia, poiché per causa “grave” va intesa quella causa che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto, il fatto che la mandante abbia ripetutamente considerato in precedenza i mancati raggiungimenti dei minimi di importanza tale da non compromettere il rapporto (tanto che è proseguito), avrà certamente maggiori difficoltà a dimostrare la differenza tra il passato e il presente e quindi a dimostrare che invece ora quel comportamento è divenuto improvvisamente grave.
La clausola minimo d’affari deve essere applicata se il minimo non viene raggiunto
Nell’eventualità in cui la mandante, pur ricorrendone i presupposti, non intenda avvalersi della clausola, potrebbe essere opportuna una comunicazione all’agente con la quale precisa i motivi che la inducono a non attivarla.
4) Cadenza del minimo d’affari
L’ideale sarebbe la previsione di un minimo d’affari “annuo”.
Capita che le mandanti richiedano la previsione di minimi di vendita semestrali se non addirittura trimestrali.
Ai fini di una valutazione di “gravità” della condotta, tuttavia, un controllo eccessivamente stringente sui risultati dell’attività dell’agente non appare compatibile con la natura stessa del rapporto.
L’agente non è infatti un lavoratore dipendente e quindi la valutazione della sua attività non dovrebbe consistere in valutazioni calendarizzate in tempi ravvicinati.
Inoltre, questa modalità aumenta le possibilità che la mandante non attivi la clausola, rimandando di fatto al termine dell’anno la valutazione complessiva dell’operato.
Potrebbero essere impiegate formule “miste” che rimandano comunque alla fine dell’anno la valutazione dell’operato pur prevedendo una certa “ripartizione” del fatturato durante l’anno.
La cosa che importa è che nella determinazione di tali soglie si tenga presente che ciò che va valutato non è meramente il rendimento dell’agente ma un rendimento gravemente insufficiente.
E’ meglio che il minimo d’affari sia annuale e l’anno coincida con quello di calendario
Altra annotazione operativa riguarda l’opportunità che l’anno coincida con l’anno di calendario (1.1-31.12) o quantomeno con l’anno di esercizio della mandante in modo da avere uniformità per tutti gli agenti.
Se infatti ci si riferisse all’”anno” dall’inizio del rapporto, la mandante sarebbe costretta ad operare nel corso dell’anno di calendario più valutazioni a seconda della data di decorrenza dei mandati dei singoli agenti.
Meglio quindi stabilire espressamente un minimo di vendita per l’anno in corso alla data di sottoscrizione del contratto (anche nel senso di escluderlo) e poi far decorrere i successivi dal primo gennaio dell’anno dopo.
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Avv. Angela Tassinari