Tempo di lettura: 7 minuti

I venditori porta a porta sono agenti di commercio? Dipende da te, Casa Mandante. Attenzione quindi a come li regoli. Vediamo tutte le casistiche.

Venditori porta a porta: di cosa si occupano

Vediamo anzitutto cosa intendiamo per venditori “porta a porta”.

Per venditori porta a porta intendiamo i venditori che si occupano delle vendite disciplinate dalla legge 17 agosto 2005, n. 173, vale a dire delle vendite di beni o servizi al dettaglio direttamente presso il domicilio del consumatore finale privato (ad esempio: casa o ufficio) oppure o “nei locali nei quali il consumatore si trova, anche temporaneamente, per motivi personali, di lavoro, di studio, di intrattenimento o di svago” (ad esempio i centri commerciali).

Ad esempio possono potenzialmente rientrare in queste categorie i venditori dei contratti di luce/acqua/gas presso i privati, i venditori di elettrodomestici o di prodotti alimentari presso i privati ecc.

Per questa modalità di svolgimento dell’attività, i venditori porta a porta vengono anche definiti “venditori a domicilio”, “incaricato alla vendita diretta a domicilio”, “incaricato alle vendite dirette”.

Indipendentemente dal nome, ad ogni modo, ciò che li caratterizza per potere in astratto essere definiti tali sono

  • il tipo di vendita (solo “al dettaglio”)
  • presso chi viene svolta (solo privato consumatore)
  • dove viene svolta (solo presso il suo domicilio o gli altri luoghi sopra indicati)

Per questa tipologia di vendita, la ditta mandante deve farne segnalazione di inizio attività in Camera di Commercio, fornire l’elenco dei propri venditori all’autorità di pubblica sicurezza e fornire gli stessi di apposito tesserino di riconoscimento ( art. 69 D.lgs 59/2010).

Venditori porta a porta: quale contratto utilizzare

La particolarità di questa figura risiede nel fatto che, a parità delle condizioni previste nel paragrafo precedente (vendita al dettaglio presso il domicilio del consumatore privato), ai sensi dell’art. 3 della predetta legge n. 173/2005, il contratto da impiegare per regolamentare i venditori porta a porta può variare a seconda che ricorrano alcune altre circostanze.

Altra particolarità è che, a seconda del tipo di contratto utilizzato, varia poi il relativo trattamento fiscale e previdenziale.

Il principio da tenere subito presente quindi è che, quale che sia il tipo di contratto impiegato, la ditta mandante deve, oltre agli adempimenti amministrativi a suo carico, curare poi che vi sia stretta coerenza con il contenuto del contratto utilizzato, nonchè il relativo trattamento fiscale e previdenziale.

Vediamo meglio nel dettaglio quali sono le tipologie contrattuali utilizzabili per i venditori porta a porta e i relativi requisiti.

Venditori porta a porta come lavoratore dipendente

La prima tipologia di contratto è quella del venditore porta a porta lavoratore dipendente.

In questo caso, il venditore ha “l’obbligo” di vendere continuativamente e la ditta mandante lo “comanda”, vale a dire gli fornisce precise direttive alle quali il venditore si deve attendere.

La tipologia da utilizzare in questo caso è quella della lettera di assunzione con contratto di lavoro subordinato (a tempo. determinato/indeterminato, orario di lavoro a tempo pieno part time, in base poi alle necessità).

Il venditore verrà quindi pagato con lo “stipendio” in base al CCNL a mezzo della busta paga (con solo fisso o anche variabile a seconda degli accordi).

Trattamento fiscale e previdenziale è quello proprio del lavoratore dipendente.

Venditori porta a porta come lavoratore autonomo

La seconda categoria dei venditori porta a porta è in realtà una “macro categoria” poichè al suo interno si possono individuare tre “sotto categorie”.

La categoria dei venditori porta a porta “autonomi” è la categoria che può comportare maggiori criticità nella scelta del “tipo” di contratto da impiegare.

Anzitutto, questa “macro categoria” è caratterizzata dal fatto che i venditori porta a porta lavorino in modo “autonomo”.

In altre parole, è necessario che il venditore stabilisca in autonomia modi e tempi di lavoro e la ditta preponente non li tratti come lavoratori dipendenti (obbligo di lavorare tutti i giorni, richiesta rendiconti, pianificazione delle visite ecc.)

Altrimenti, a prescindere dal tipo di contratto impiegato, comunque potrebbe insorgere a monte una controversia riferita alla “natura” stessa del rapporto, se subordinato o autonomo.

Appurata l'”autonomia” del venditore, i tipi contrattuali che possono essere impiegati sono i seguenti:

Venditori porta a porta con contratto di agenzia

Se la ditta mandante opta per avere venditori porta a porta con contratto di agenzia, questa scelta significa che intende operare con:

  • venditore autonomo
  • che si impegna ed è obbligato a vendere in una zona
  • rispettando le direttive della mandante
  • dietro compenso variabile in base agli ordini procurati
  • può avere acconti e/o rimborsi spese
  • può avere un portafoglio clienti assegnato
  • possono essere pattuiti minimi di vendita
  • il contratto può avere una durata e un preavviso per l’interruzione
  • solitamente con assegnazione di zona e/o esclusiva

L’attività svolta con contratto di agenzia è inoltre compatibile con il conferimento di incarichi accessori di coordinamento di altri agenti.

E’ altresì compatibile con la promozione delle vendite anche a soggetti diversi da privati consumatori o presso luoghi diversi da quelli previsti dalla legge 173/2005.

La ditta mandante che intenda avvalersi di venditori porta a porta con queste caratteristiche deve quindi, oltre a utilizzare il contratto di agenzia, iscrivere gli agenti venditori all’Enasarco, trattenere e versare i contributi Enasarco nella misura vigente (attualmente per gli agenti persone fisiche pari al 17% complessivo (8,50% a testa)), tenere conto delle indennità di fine rapporto e delle altre regole del contratto di agenzia previste dalla legge o dagli Accordi Economici Collettivi (se applicabili).

Il trattamento fiscale è quello delle provvigioni degli agenti di commercio: ritenuta irpef 23% sul 50% di imponibile e 22% IVA, salvo adesione a regimi forfettari da parte dell’agente.

Tipologia reddito in CU: “R” (agente plurimandatario) o “Q” (agente monomandatario).

L’aspetto importante da considerare è che se anche la ditta mandante non utilizzasse formalmente un contratto di agenzia ma inserisse queste clausole nel diverso contratto impiegato, o nei fatti risultassero questi elementi, anche in contrasto con quelli risultanti dal diverso contratto impiegato, il contratto potrebbe essere comunque riqualificato come di agenzia.

Venditori porta a porta come procacciatore d’affari

Nel caso di venditore porta a porta procacciatore d’affari, le caratteristiche che deve avere sono:

  • venditore autonomo
  • che NON è obbligato a vendere e NON ha un incarico (al massimo una mera autorizzazione)
  • NON ha una zona e/o esclusiva
  • procura ordini in modo saltuario e non continuativo (no quindi compenso periodico)
  • il compenso variabile in base agli ordini procurati
  • idealmente il totale dei compensi è inferiore a 5000 euro annui
  • NON può avere acconti e NON può avere rimborsi spese
  • NON ha una zona e/o esclusiva
  • NON ha una durata
  • può operare anche presso soggetti diversi da privati consumatori

Trattamento fiscale 23% su 50% di imponibile e 22% IVA (salvo adesione del procacciatore a regimi forfettari)

Codice reddito in CU: “U”.

Ricorrendo queste caratteristiche (e solo se ricorrono queste caratteristiche) il soggetto non va iscritto all’Enasarco.

Venditori porta a porta con lettera di incaricato alle vendite dirette ex legge n. 173/2005

Veniamo poi all’ultimo tipo di contratto utilizzabile per regolare il rapporto con i venditori porta a porta.

A dire il vero anche questa tipologia di contratto presenta una ulteriore suddivisione a seconda che l’incaricato alle vendite svolga l’attività in modo “abituale” o “occasionale”.

In entrambi i casi, ad ogni modo, le caratteristiche che contraddistinguono il venditore porta a porta con lettera di “incarico” ex l. n. 173/2005, come anche precisato dall’attuale art. 69 D.lgs 59/2010 sono:

  • essere in possesso di una semplice lettera scritta di “autorizzazione” alle vendite dirette ex l. n. 173/2005
  • NON avere alcun obbligo di vendita
  • NON avere una zona in cui operare in via esclusiva, nè una esclusiva di zona
  • NON avere obiettivi di vendita
  • NON avere una durata
  • possibilità di procurare vendite unicamente presso privati consumatori presso il loro domicilio o gli altri luoghi indicati dalla legge
  • rispetto degli adempimenti fiscali e previdenziali tipici di questa tipologia.

Inoltre, l’incaricato (o meglio l'”autorizzato”) alle vendite ex legge 173/2005 non è compatibile con un incarico di coordinamento di altri agenti.

Non è altresì compatibile con lo svolgimento dell’attività di vendita presso soggetti diversi da privati consumatori o luoghi diversi da quelli indicati nella legge 173/2005.

Vediamo nel dettaglio.

Incaricato (“autorizzato”) alle vendite dirette ex legge 173/2005 “abituale”

L’incaricato (autorizzato) alle vendite dirette ex legge n. 173/2005 abituale, può presentarsi in modo molto simile al venditore porta a porta con contratto di agenzia per la potenziale “periodicità” del compenso e l’ammontare annuo dei compensi che è superiore a euro 5.000,00 annui.

Infatti, è ritenuto incaricato alle vendite abituale il venditore con reddito superiore a euro 5.000 “netti” annui (corrispondenti a euro 6.410,26 al lordo della deduzione forfettaria del 22% prevista per questa categoria di redditi).

Tuttavia, ciò che lo contraddistingue dal contratto di agenzia è che il venditore porta a porta con lettera di incarico ex legge 173/2005 non è (e non deve essere) obbligato a vendere.

In altre parole, la lettera di incarico non dovrà prevedere obblighi di vendita.

Altro aspetto, è la particolare disciplina del trattamento fiscale e previdenziale.

Il compenso del venditore porta a porta abituale con lettera di incarico ex legge 173/2005  è soggetto all’imposta sostitutiva a titolo definitivo (quindi NON ad una ritenuta a titolo “d’acconto”) del 23% sul 78% dell’imponibile lordo (o il 23% sull’imponibile già al netto della deduzione forfettaria), oltre IVA (cfr. Risoluzione n. 18/E A.d.E. 17.1.2006).

Codice reddito in CU: “V”.

Questo reddito NON è compatibile con l’ammissione del venditore a regime forfettario perchè il trattamento fiscale previsto per l’incaricato alle vendite ex legge 173/2005 è già agevolato.

Dal punto di vista previdenziale, il venditore porta porta abituale ex l. n. 173/2005 deve versare la contribuzione INPS, da ripartire 2/3 a carico ditta mandante e 1/3 a carico venditore, ma non alla contribuzione Enasarco.

Ricorrendo tutte queste caratteristiche, la giurisprudenza ha escluso che questi venditori siano infatti inquadrabili come agenti di commercio e quindi che l’Enasarco sia dovuto (cfr. da ultimo Corte d’Appello Roma 23/2/2024 n. 791).

Anche l’Enasarco quindi, adeguandosi a tale orientamento, normalmente si astiene dal riprendere queste figure laddove rileva coerenza sia dal punto di vista contrattuale che previdenziale e fiscale.

Ben diverso invece il rischio qualora, pur in presenza di un venditore porta a porta abituale con lettera di autorizzazione alle vendite ex legge 173/2005, risulti un contenuto del contratto incompatibile con questa figura e/o risulti l’emissione di fatture per provvigioni in regime forfettario o con ritenuta 23% su 50%, l’attribuzione in CU di un codice reddito “R” (agente plurimandatario) o “U” (procacciatore),  la mancanza di riaddebito dei 2/3 INPS alla ditta mandante.

Si tratta infatti di incongruenze importanti rispetto alla pretesa qualifica dell’incaricato alle vendite ex legge 173/2005, che possono quindi esporre le aziende a contestazioni in sede di ispezione Enasarco, il quale potrebbe riqualificare la lettera di incarico come contratto di agenzia e richiedere il versamento della contribuzione Enasarco.

La ripresa, se basata solo su incongruenze fiscali e previdenziali, potrebbe forse anche essere discutibile da parte di Enasarco, potendosi sostenere che gli aspetti fiscali e previdenziali non qualificano il rapporto e valga la lettera di incarico ex legge 173/2005.

Tuttavia, il fatto che il trattamento fiscale e previdenziale non sia corretto potrebbe comunque esporre la ditta mandante a segnalazioni agli altri Enti coinvolti (Agenzia delle Entrate e INPS) dati i mancati versamenti o versamenti errati, e quindi a ispezioni da parte di questi ultimi per il recupero delle ritenute e contributi non versati (con effetti anche potenzialmente più onerosi di quelli Enasarco).

Tale evenienza quindi, all’atto pratico, richiede attenta analisi rispetto all’opportunità di impugnare o meno eventuali riprese Enasarco.

Incaricato (“autorizzato”) alle vendite ex legge 173/2005 “occasionale”

In ultimo, il venditore porta a porta con lettera di incarico senza obblighi di vendita il cui reddito sia inferiore a Euro 5.000.00 netti annui può rimanere qualificato come incaricato alle vendite occasionale, senza obbligo di apertura della partita IVA nè versamento contributi INPS.

Rimane invece sempre dovuta la trattenuta a titolo di imposta sostitutiva sul reddito del 23% sul 78% del reddito lordo.

Quindi anche in questo caso, sia pure il rischio di ripresa Enasarco sia contenuto per via dell’ammontare del reddito, comunque una fatturazione con ritenuta d’acconto 23% su 50% o regime forfettario e tipologia reddito in CU come “U” (procacciatore) è incongrua.

Come è possibile constatare, la materia può rivelarsi complessa, come il rischio di “cadere” in una tipologia o in un altra di contratto. Sei sei quindi una impresa che svolge attività di vendita “diretta” e hai dubbi su come stai regolando i tuoi rapporti con i venditori o hai necessità di iniziare a farlo, siamo a tua disposizione per offrirti assistenza. Qui puoi trovare i nostri riferimenti.

Buon lavoro!

Avv. Angela Tassinari

Tempo di lettura: 2 minuti

contratto di agenzia e periodo di provaContratto di agenzia e periodo di prova: è possibile “provare” l’agente?

La risposta è affermativa, ma a certe condizioni.

Anzitutto bisogna fare una distinzione.

Bisogna cioè distinguere tra la “prassi” di alcune aziende di provare l’agente a vario titolo prima di stipulare il contratto di agenzia e la prova inserita invece nel contratto di agenzia.

Il primo tipo di “prova” generalmente viene effettuato inquadrando il “futuro” agente come procacciatore, segnalatore, consulente, prestatore d’opera occasionale ecc.

Questo tipo di prova, tuttavia, nove volte su dieci non è corretto.

Contratto di agenzia e periodo di prova: attenzione alla prova prima del contratto

E ciò per un semplice motivo: se l’agente sta già di fatto facendo l’agente senza un contratto di agenzia c’è qualcosa che non va.

Al riguardo non mi stancherò mai di ricordare una cosa: non è il tipo di contratto utilizzato che determina se il rapporto è di procacciamento, segnalazione, agenzia ecc., ma è il modo con cui viene svolto in concreto il rapporto che determina quale sia il tipo di contratto giusto da applicare.

Di conseguenza, se il modo con si svolge il rapporto presenta le caratteristiche proprie di un certo tipo di contratto, questo contratto prevale su quello diverso che hanno utilizzato le parti.

Il modo con cui si svolge in concreto un rapporto prevale sul tipo di contratto usato dalle parti

Poichè ogni contratto ha le proprie caratteristiche, non è giuridicamente ammesso che si possano fare contratti di tipo diverso a parità di caratteristiche.

Se dunque, per “provare” l’agente prima di fargli il contratto di agenzia, lo nomino come procacciatore, facendogli fare nella sostanza le stesse cose che farebbe se avesse un contratto di agenzia, il contratto di procacciamento non è valido.

Sulla questione della differenza tra procacciatore e agente e sulle conseguenze di utilizzare un contratto non corretto ti suggerisco di leggere questo post.

La “prova” dell’agente prima di stipulare il contratto di agenzia, tuttavia, non è l’unica modalità possibile per conoscere e valutare le capacità dell’agente.

Ve n’è un’altra decisamente meno rischiosa.

Anche se la legge non ne parla, la Cassazione ha ritenuto che sia lecito e possibile inserire all’interno del contratto di agenzia una specifica clausola che preveda un “patto di prova ” per il periodo iniziale del contratto (Cass. civ. Sez. lavoro, 22/01/1991, n. 544).

Anche gli Accordi Economici Collettivi ne fanno un rapido accenno, implicitamente ritenendo compatibile contratto di agenzia e periodo di prova, quando parlano dei contratti a tempo determinato (A.E.C.  settore Industria 2014 art. 4 e A.E.C. settore Commercio 2009 art. 2)

In particolare, è possibile prevedere sia nel contratto di agenzia a tempo indeterminato sia in quello a tempo determinato un periodo durante il quale le parti possono liberamente conoscersi e valutarsi ed interrompere il rapporto senza necessità di riconoscere il preavviso (o di riconoscere le provvigioni mancanti fino alla scadenza, in caso di contratto a tempo determinato).

E’ vero che durante il patto di prova il contratto di agenzia è tale a tutti gli effetti, e dunque ne andrà regolarmente comunicato l’inizio e la cessazione all’Enasarco, così come dovranno essere versati i relativi contributi.

Tuttavia l’onere contributivo è onere del tutto contenuto se paragonato ai rischi della “prova” effettuata al fuori dal contratto.

Ora che ti ho convinto che provare l’agente prima di fargli il contratto è inutilmente rischioso, non ti resta che conoscere le semplici regole sulla forma, validità e durata del patto di prova.  

*  *  *

Per qualsiasi dubbio o se ti riconosci in una delle situazioni rischiose che ti ho descritto, clicca qui per sapere cosa possiamo fare per te!
Buon lavoro

Avv. Angela Tassinari

Avvocato Angela Tassinari Linkedin

Tempo di lettura: 4 minuti

Procacciatore d’affari o agente di commercio: che differenza c’è? Quali conseguenze ci sono per l’azienda che tratta un procacciatore come un agente?

procacciatore d'affari o agente di commercioLa questione si pone perchè i due soggetti sono quasi parenti: tutti e due promuovono le vendite e tutti e due vengono pagati a provvigione (anche il trattamento fiscale è uguale).

La differenza è che il rapporto con il procacciatore è “episodico” e “occasionale“, mentre quello con l’agente è “stabile” e “continuativo“. Punto.

Elementi che fanno il paio con il fatto che il procacciatore se vuole vende e se non vuole non vende senza che l’azienda possa rimproverargli nulla, mentre l’agente è obbligato a vendere.

Tuttavia, spesso la tentazione di optare per il procacciamento è forte: sul procacciatore non si calcolano i contributi Enasarco e non valgono una serie di diritti tipici dell’agente, tra i quali quello alle indennità di fine rapporto se il rapporto cessa per iniziativa dell’azienda.

In più, l’azienda pensa siano giustificazioni valide il fatto che:

  • la persona è giovane, non è sicura se vuole fare l’agente, vuole solo provare
  • prima di fare il contratto di agenzia vogliamo vedere come va
  • non ha ancora passato l’esame/non ha ancora i requisiti
  • è lui che non vuole essere preso come agente
  • non sappiamo quanti affari ci porterà
  • se lo iscrivo all’Enasarco e non va bene lo devo disiscrivere subito dopo …

e via di seguito…

Elementi quali: episodicità e saltuarietà, o, al contrario, continuità, stabilità,  periodicità nel pagamento delle provvigioni, liquidazione delle provvigioni a fronte di una serie indistinta di ordini, importo complessivo annuo superiore a certe soglie, non sono quasi mai valutati.

L’idea che si possa “scegliere” il tipo di contratto a prescindere da quello che poi il “procacciatore” farà concretamente è molto radicata.

Non è cosi. Non basta chiamare il contratto come di “procacciatore” perchè lo sia veramente. Ciò che conta è sempre come il rapporto si svolge concretamente.

Procacciatore d’affari o agente di commercio: Non conta il “nome” del contratto, ma cosa fa in concreto! 

Spesso le aziende pensano invece di poter utilizzare una delle motivazioni che ho descritto sopra, per giustificare perchè non hanno concluso direttamente un contratto di agenzia.

Le motivazioni più ricorrenti sono che l’agente “non aveva i requisiti” o “doveva ancora fare il corso”.

Se non li ha come faccio a fargli il contratto di agenzia?”  – spesso sento dire – “Non posso che fargli il contratto di procacciatore!”

Se non ha i requisiti l’alternativa non è trovare un altro vestito che possa andare bene nel frattempo per fargli fare la stessa cosa che farebbe se fosse agente, ma quella di non farlo proprio lavorare (prima di nominare un agente, comunque, queste sono le cose che vanno verificate).

Anche la questione della “prova” è un “falso” problema: nel contratto di agenzia si può prevedere un periodo di prova durante il quale ciascuna delle parti può interrompere liberamente il rapporto, e così si risolve il problema.

Naturalmente ragioni commerciali e ragioni giuridiche/fiscali/previdenziali non sempre vanno di pari passo, ma almeno è bene sapere prima:

  1. quanto può costare la scelta, tra procacciatore d’affari o agente di commercio, qualora qualcosa andasse storto, avendo optato per un contratto da procacciatore
  2. quali sono gli elementi che, se viene l’Enasarco in azienda, non lasciano scampo al verbale (e che poi vengono confermati anche in Cassazione)

1. La questione dei costi richiede una analisi caso per caso e di cui possiamo occuparci (puoi avere maggiori informazioni di quello che facciamo qui, ma possiamo dire in generale che, come accennato, il procacciatore non va iscritto all’Enasarco e non gli si applica tutta la normativa (Direttiva CE sugli agenti, codice civile, Accordi Economici Collettivi) sugli agenti di commercio.

Se quindi, malauguratamente, il procacciatore non è un procacciatore ma un agente:

  • l’Enasarco può richiedere tutti i contributi non versati, il versamento del FIRR (talvolta con un ragionamento un po “forzato” se l’azienda non è iscritta a nessuna associazione di categoria), applicare le sanzioni. Al riguardo, è discutibile che al procacciatore possa poi essere trattenuta la quota di contributi che sarebbero stati a suo carico se fosse stato inquadrato come agente sin dall’inizio, considerato che la responsabilità “giuridica” ricade sull’azienda e non sul procacciatore al quale dunque non può essere imputata la scelta di non versare i contributi (l’ha detto anche la Cassazione nel 2009, con la sentenza n. 6448).
  • il procacciatore-agente (di solito alla fine del rapporto) può far causa a sua volta impugnando il contratto e richiedendo il pagamento delle indennità di fine rapporto (se il rapporto è cessato su iniziativa dell’azienda), il preavviso previsto dagli A.E.C., eventuali provvigioni indirette su affari conclusi nella zona dell'”agente” (zona, che, se nulla è specificato in contratto, si intende in esclusiva).

2. Quali sono a questo punto gli indizi che non lasciano scampo, tra procacciatore d’affari o agente di commercio, specie in caso di ispezione?

Ecco i 2 principali indizi che messi insieme tagliano la testa al toro:

  • fatture provvigionali concepite dalle parti per la remunerazione di una serie indeterminata di affari (dicitura “classica”: “provvigioni I trimestre” o “provvigioni su ordini procacciati mese di …”
  • cadenza periodica del pagamento (mensile o trimestrale)

Bastano 2 indizi per capire se è procacciatore d’affari o agente di commercio

Ai quali poi si aggiungono ulteriori elementi, frequentemente rilevati quali:

  • contratto con durata pluriennale predeterminata (esempio: durata “3 anni”) o preavviso per la disdetta
  • predeterminazione del compenso, anzichè determinazione di volta in volta
  • fissi mensili
  • rimborsi spese

Si tratta di elementi che, come è intuibile, sono in contrasto con quel carattere episodico e occasionale che la giurisprudenza richiede debba caratterizzare l’operato del procacciatore e quindi fanno “traghettare” poi il rapporto nell’ambito dell’agenzia.

Se, nonostante i rischi, l’azienda ritiene comunque di stipulare un contratto di procacciamento, dovrà (dovrebbe) evitare il più possibile che dall’analisi del rapporto possano risultare elementi sopra descritti e quindi:

  • niente pagamento periodico e su un numero indistinto di ordini, ma pagamenti di volta in volta con specifica indicazione in fattura del cliente procurato
  • niente fissi
  • niente minimi di vendita
  • niente preavviso in caso di cessazione
  • possibilmente evitare di predeterminare la percentuale provvigionale ma pattuirla di volta in volta
  • in caso di ordini “frequenti”, rimanere comunque all”interno di una soglia che si suggerisce essere inferiore a euro 5.000,00 (non è una soglia prevista dalla legge, ma era quella, vigente un tempo, alla quale veniva ricollegata la prestazione occasionale, e tende quindi ad essere considerata ancora tale), evitando comunque pagamenti periodici

Si ricorda che l’Enasarco ha 5 anni di tempo per richiedere gli arretrati, che possono arrivare a 10 se l’agente fa la denuncia .

L’agente ha a sua volta 5 anni di tempo per chiedere eventuali differenze provvigionali e 1 anno dalla cessazione del rapporto per richiedere le indennità.

Per ulteriori informazioni sul tema “procacciatore d’affari o agente di commercio”, puoi contattarci, cliccando qui

Avv. Angela Tassinari

Avvocato Angela Tassinari Linkedin

Tempo di lettura: 3 minuti

Stai per stipulare un nuovo mandato di agenzia? Ti spiego quali sono le prime cose da verificare

1) L’agente ha la partita IVA?

mandato di agenzia

Sembra una domanda banale, ma ultimamente mi sto rendendo conto che non è cosi.

Mi sono occupata di diversi casi in cui la persona interessata a fare l’agente di commercio proviene da esperienze completamente diverse, o, quantomeno, ha sempre operato come dipendente, e quindi, quando si candida, non ha ancora aperto la partita IVA.

Ma soprattutto, non ha intenzione di aprirla. Se non prima di aver “provato” come è fare l’agente.

Ecco, se non c’è la disponibilità ad aprire subito la partita IVA, ti devo suggerire di non andare oltre.

Se la persona non ha ancora la partita IVA sappi che non può svolgere alcuna attività di tipo stabile o continuativo, tantomeno qualcosa che assomigli a quella di un venditore come lo stai cercando tu.

2) L’agente è iscritto alla Camera di Commercio come “agente di commercio”?

Questo naturalmente presuppone che almeno la partita IVA ce l’abbia. Ma non è sufficiente.

E’ anche necessario che sia iscritto o almeno possa iscriversi alla camera di commercio come agente di commercio.
Per iscriversi alla Camera di Commercio come agente di commercio, la persona deve avere certi requisiti professionali (oltre ad essere moralmente irreprensibile)

Questi requisiti sono:
– che abbia già lavorato come venditore negli ultimi 2 anni oppure
– che abbia un diploma di scuola superiore di indirizzo commerciale o una laurea in materia economica o giuridica (sui siti delle camere di commercio c’è l’elenco esatto) oppure
– che abbia frequentato un corso organizzato dalla Regione
Solo i primi 2 gli consentono di potersi iscrivere subito alla Camera di Commercio e quindi di operare subito come agente.
Se deve invece fare il corso, armati di pazienza. Qualche mese ci vuole.

E se è in attesa di poter stipulare il mandato di agenzia, che fare?

Attenzione ai falsi miti del procacciatore d’affari, magari con scritto proprio: “in attesa che si iscriva alla Camera di Commercio”. Ecco, quella è la prova provata che lo stai facendo lavorare come agente senza che possa farlo.

Il procacciamento d’affari va usato con parsimonia. L’Enasarco, in caso di ispezione, quando vede che il procacciamento è seguito subito dopo da un contratto di agenzia, e magari proprio perché prima non poteva farlo, è molto invogliata a considerare anche il periodo precedente come di agenzia e quindi a chiedere la regolarizzazione del rapporto.

Quindi che almeno si tratti di un periodo breve dove la “produttività” è effettivamente contenuta e saltuaria.

Non dargli quindi contratti di procacciamento con tanto di minimi di vendita, fissi mensili, esclusiva di zona, obblighi a non finire.

Ricorda: il procacciatore se vuole va a vendere se non vuole può stare a casa. Senza che tu possa dirgli nulla.

Ma poi: davvero non puoi aspettare che sia tutto in ordine?

Attenzione poi che se la Camera di Commercio scopre che lo stai facendo lavorare come agente sanziona te e lui e gli sospende l’attività.

3) L’agente ha in corso un contratto di monomandatario con un’altra casa? 

In questo caso il tuo agente è fatto e finito. Ed anzi, sta già lavorando per altri.

Sta talmente lavorando per altri che ha persino un contratto di monomandato.

E quindi NON può lavorare anche per te contemporaneamente.

Non è che tu non sei geloso e quindi non ti importa.

Il fatto è che l’Enasarco, quando poi vai ad iscriverlo, ti rifiuta l’iscrizione perché vede che è iscritto come monomandatario con un’altra ditta e quindi non può accettare due mandati contemporaneamente.

Questo magari lo scopri quando l’hai già inviato in missione con cataloghi, copie commissioni, campionario …

Verificalo prima!

Per ulteriori informazioni sul “mandato di agenzia”, puoi contattarci, cliccando qui

Avv. Angela Tassinari

Avvocato Angela Tassinari Linkedin