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Conteggio indennità meritocratica agenti prevista dagli A.E.C.: abbiamo parlato qui di cosa sia esattamente e in quali casi di cessazione del contratto l’agente possa potenzialmente richiederla.

Vediamo più ora in concreto come la Casa Mandante si deve regolare rispetto al conteggio.

conteggio indennità meritocratica

In generale, a parte il FIRR, le altre componenti dell’indennità di fine rapporto previste dagli A.E.C., cioè l’indennità suppletiva di clientela e l’indennità meritocratica (ma più in generale l’indennita’ di fine rapporto prevista dalla legge) sono potenzialmente dovute se il contratto cessa non per colpa dell’agente (esempio se cessa per recesso “normale” della casa mandante, o se cessa per giusta causa da parte dell’agente, o in particolari casi di dimissione dell’agente individuale per motivi non dipendenti dalla sua volontà, come morte, malattia, età’).

Tuttavia, anche se il contratto cessa per una delle cause che danno potenzialmente diritto all’indennità di fine rapporto, l’agente deve, o dovrebbe, fare ancora un passaggio per ottenerle.

Conteggio indennità meritocratica: l’esistenza di un incremento può non essere sufficiente

Con riguardo in particolare alla componente dell’indennità “meritocratica”, capita che la stessa sia magari “calcolabile” per il fatto che risulti un incremento delle provvigioni (per l’AEC settore Industria) o del fatturato procurato (per l’AEC settore Commercio) iniziale e finale (secondo i periodi indicati negli AEC).

Tuttavia, l’esistenza di per sè di tale incremento può non essere sufficiente per procedere al conteggio dell’indennità meritocratica.

Più di una sentenza ha infatti stabilito che, prima ancora di fare materialmente il conteggio dell’indennità meritocratica, devono sussistere a monte le condizioni previste dalla legge (art. 1751 c.c.) ed è l’agente che le deve dimostrare (si richiama ad esempio Trib. Novara sez. lav. 27.9.2022 n. 202).

Anzi, per qualche sentenza anche il conteggio dell’indennità “suppletiva di clientela” è subordinata alla sussistenza e alla prova delle condizioni previste dall’art. 1751 c.c. (Corte Appello Roma 25.11.2022 n. 7546),

Non va infatti dimenticato che le indennità dell’A.E.C. sono una applicazione dell’indennità di legge, cioè dell’art. 1751 c.c., e che questa norma prevede che, oltre a motivi idonei di cessazione del contratto, sussistano specifiche condizioni per poterla ottenere.

Tali condizioni consistono in particolare nel fatto che l’agente abbia procurato nuovi clienti e/o aumentato sensibilmente il fatturato e che tali vantaggi permangono alla casa mandante anche dopo la cessazione del rapporto.

Conteggio indennità meritocratica: la prova delle condizioni è a carico dell’agente

In caso di contezioso, è l’agente che deve provare, e in modo dettagliato, il verificarsi di tali condizioni. Non può limitarsi alla semplice constatazione di un generico aumento di fatturato o clientela, o dare per sottinteso che tali condizioni si siano verificate in ragione magari della lunga durata del rapporto.

Solo dopo che l’agente avrà provato tali condizioni, lo stesso avrà diritto di procedere al conteggio dell’indennità meritocratica (se non anche dell’indennità suppletiva di clientela).

E’ vero che sono potenzialmente valide pattuizioni di “miglior” favore per l’agente, e si potrebbe sostenere che le pattuizioni contenute nell’A.E.C. vogliano “facilitare il lavoro” all’agente nell’ottenimento di queste indennità, consentendogli di limitarsi al conteggio delle indennità ed evitandogli l’onere di provare nel dettaglio la sussistenza delle condizioni.

Tuttavia, se ciò e’ già più sostenibile per l’indennita’ suppletiva di clientela (che gli A.E.C. prevedono espressamente che prescinda dal “merito”) non così per il conteggio dell’indennita’ “meritocratica” che, come dice il nome stesso, presuppone invece proprio il merito dell’agente.

Merito che non si “presume” solo per il fatto che il conteggio dell’indennita’ meritocratica risulti “positivo”.

In sostanza, l’esistenza dell’incremento di provvigioni o del fatturato (che sono la base di partenza per il calcolo di questa componente secondo gli AEC) per tale giurisprudenza non viene considerata prova “in sè” dell’esistenza dei requisiti di legge, ma è necessario che l’agente dimostri che tale incremento sia effettivamente dipeso da un aumento del numero di clienti (e quali) o del fatturato a lui imputabile e che tali vantaggi siano destinati a rimanere anche dopo la data di cessazione del rapporto.

Allo stesso tempo, la casa mandante avrà spazio per replicare che l’eventuale incremento di clienti o fatturato non sia dipeso dal merito dell’agente bensì dalla notorietà del marchio, dagli investimenti pubblicitari effettuati, da azioni dirette di marketing e promozione del brand, dall’aumento dei prezzi di listino. Come potrà contestare che, una volta cessato il rapporto, i clienti siano stati persi e il fatturato sia fortemente diminuito.

Di conseguenza, anche nel caso di cessazione del rapporto con potenziale diritto alle indennità di fine rapporto, il diritto all’indennità meritocratica non appare “automatico”, ancorchè la stessa sia “calcolabile” con risultato positivo.

Conteggio indennità meritocratica: va effettuato a parità di condizioni iniziali e finali

Ancora diverso poi il caso in cui l’incremento per il conteggio dell’indennita’ meritocratica derivi magari da ampliamenti di zona o aumenti della misura delle provvigioni a parità di quantità vendute o aumenti di linee/categorie di prodotti assegnati.

Se ci pensate, e’ logico che se un agente inizia ad esempio con la regione Lombardia e termina con Lombardia e Piemonte, l’incremento finale dipenda per lo meno anche dal solo raddoppio della zona e non anche dal “merito”.

Tant’è’ vero che l’AEC settore Industria ad esempio specifica che il conteggio dell’indennita’ meritocratica vada fatto “a parità di condizioni”, cioè’ “neutralizzando” le variazioni che possano influenzare l’incremento (o il decremento) senza essere direttamente riconducibili a merito (o demerito) dell’agente.

Di conseguenza, in questi casi, si potrà valutare di analizzare separatamente lo sviluppo di ciascuna delle zone o delle categorie di prodotti assegnati e ampliati nel tempo per avere una visione più realistica del “merito”.

***

Come e’ possibile comprendere in base a quanto sopra, dunque, anche nel caso in cui il contratto di agenzia disciplinato dall’AEC cessi pacificamente per  una causa che dia potenzialmente diritto all’agente alle indennità di fine rapporto, l’ammontare in concreto di queste indennità potrebbe non essere del tutto scontato.

Se sei una Casa Mandante e ti trovi in questa situazione o hai ricevuto un conteggio da parte dell’agente con tutte le indennità di fine rapporto e ti stai chiedendo se siano effettivamente dovute, possiamo offrirti assistenza e valutare l’atteggiamento più opportuno da mantenere nella gestione della vicenda. Qui puoi avere altre informazioni e come contattarci.

Buon lavoro!

Avv. Angela Tassinari

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I venditori porta a porta sono agenti di commercio? Dipende da te, Casa Mandante. Attenzione quindi a come li regoli. Vediamo tutte le casistiche.

Venditori porta a porta: di cosa si occupano

Vediamo anzitutto cosa intendiamo per venditori “porta a porta”.

Per venditori porta a porta intendiamo i venditori che si occupano delle vendite disciplinate dalla legge 17 agosto 2005, n. 173, vale a dire delle vendite di beni o servizi al dettaglio direttamente presso il domicilio del consumatore finale privato (ad esempio: casa o ufficio) oppure o “nei locali nei quali il consumatore si trova, anche temporaneamente, per motivi personali, di lavoro, di studio, di intrattenimento o di svago” (ad esempio i centri commerciali).

Ad esempio possono potenzialmente rientrare in queste categorie i venditori dei contratti di luce/acqua/gas presso i privati, i venditori di elettrodomestici o di prodotti alimentari presso i privati ecc.

Per questa modalità di svolgimento dell’attività, i venditori porta a porta vengono anche definiti “venditori a domicilio”, “incaricato alla vendita diretta a domicilio”, “incaricato alle vendite dirette”.

Indipendentemente dal nome, ad ogni modo, ciò che li caratterizza per potere in astratto essere definiti tali sono

  • il tipo di vendita (solo “al dettaglio”)
  • presso chi viene svolta (solo privato consumatore)
  • dove viene svolta (solo presso il suo domicilio o gli altri luoghi sopra indicati)

Per questa tipologia di vendita, la ditta mandante deve farne segnalazione di inizio attività in Camera di Commercio, fornire l’elenco dei propri venditori all’autorità di pubblica sicurezza e fornire gli stessi di apposito tesserino di riconoscimento ( art. 69 D.lgs 59/2010).

Venditori porta a porta: quale contratto utilizzare

La particolarità di questa figura risiede nel fatto che, a parità delle condizioni previste nel paragrafo precedente (vendita al dettaglio presso il domicilio del consumatore privato), ai sensi dell’art. 3 della predetta legge n. 173/2005, il contratto da impiegare per regolamentare i venditori porta a porta può variare a seconda che ricorrano alcune altre circostanze.

Altra particolarità è che, a seconda del tipo di contratto utilizzato, varia poi il relativo trattamento fiscale e previdenziale.

Il principio da tenere subito presente quindi è che, quale che sia il tipo di contratto impiegato, la ditta mandante deve, oltre agli adempimenti amministrativi a suo carico, curare poi che vi sia stretta coerenza con il contenuto del contratto utilizzato, nonchè il relativo trattamento fiscale e previdenziale.

Vediamo meglio nel dettaglio quali sono le tipologie contrattuali utilizzabili per i venditori porta a porta e i relativi requisiti.

Venditori porta a porta come lavoratore dipendente

La prima tipologia di contratto è quella del venditore porta a porta lavoratore dipendente.

In questo caso, il venditore ha “l’obbligo” di vendere continuativamente e la ditta mandante lo “comanda”, vale a dire gli fornisce precise direttive alle quali il venditore si deve attendere.

La tipologia da utilizzare in questo caso è quella della lettera di assunzione con contratto di lavoro subordinato (a tempo. determinato/indeterminato, orario di lavoro a tempo pieno part time, in base poi alle necessità).

Il venditore verrà quindi pagato con lo “stipendio” in base al CCNL a mezzo della busta paga (con solo fisso o anche variabile a seconda degli accordi).

Trattamento fiscale e previdenziale è quello proprio del lavoratore dipendente.

Venditori porta a porta come lavoratore autonomo

La seconda categoria dei venditori porta a porta è in realtà una “macro categoria” poichè al suo interno si possono individuare tre “sotto categorie”.

La categoria dei venditori porta a porta “autonomi” è la categoria che può comportare maggiori criticità nella scelta del “tipo” di contratto da impiegare.

Anzitutto, questa “macro categoria” è caratterizzata dal fatto che i venditori porta a porta lavorino in modo “autonomo”.

In altre parole, è necessario che il venditore stabilisca in autonomia modi e tempi di lavoro e la ditta preponente non li tratti come lavoratori dipendenti (obbligo di lavorare tutti i giorni, richiesta rendiconti, pianificazione delle visite ecc.)

Altrimenti, a prescindere dal tipo di contratto impiegato, comunque potrebbe insorgere a monte una controversia riferita alla “natura” stessa del rapporto, se subordinato o autonomo.

Appurata l'”autonomia” del venditore, i tipi contrattuali che possono essere impiegati sono i seguenti:

Venditori porta a porta con contratto di agenzia

Se la ditta mandante opta per avere venditori porta a porta con contratto di agenzia, questa scelta significa che intende operare con:

  • venditore autonomo
  • che si impegna ed è obbligato a vendere in una zona
  • rispettando le direttive della mandante
  • dietro compenso variabile in base agli ordini procurati
  • può avere acconti e/o rimborsi spese
  • può avere un portafoglio clienti assegnato
  • possono essere pattuiti minimi di vendita
  • il contratto può avere una durata e un preavviso per l’interruzione
  • solitamente con assegnazione di zona e/o esclusiva

L’attività svolta con contratto di agenzia è inoltre compatibile con il conferimento di incarichi accessori di coordinamento di altri agenti.

E’ altresì compatibile con la promozione delle vendite anche a soggetti diversi da privati consumatori o presso luoghi diversi da quelli previsti dalla legge 173/2005.

La ditta mandante che intenda avvalersi di venditori porta a porta con queste caratteristiche deve quindi, oltre a utilizzare il contratto di agenzia, iscrivere gli agenti venditori all’Enasarco, trattenere e versare i contributi Enasarco nella misura vigente (attualmente per gli agenti persone fisiche pari al 17% complessivo (8,50% a testa)), tenere conto delle indennità di fine rapporto e delle altre regole del contratto di agenzia previste dalla legge o dagli Accordi Economici Collettivi (se applicabili).

Il trattamento fiscale è quello delle provvigioni degli agenti di commercio: ritenuta irpef 23% sul 50% di imponibile e 22% IVA, salvo adesione a regimi forfettari da parte dell’agente.

Tipologia reddito in CU: “R” (agente plurimandatario) o “Q” (agente monomandatario).

L’aspetto importante da considerare è che se anche la ditta mandante non utilizzasse formalmente un contratto di agenzia ma inserisse queste clausole nel diverso contratto impiegato, o nei fatti risultassero questi elementi, anche in contrasto con quelli risultanti dal diverso contratto impiegato, il contratto potrebbe essere comunque riqualificato come di agenzia.

Venditori porta a porta come procacciatore d’affari

Nel caso di venditore porta a porta procacciatore d’affari, le caratteristiche che deve avere sono:

  • venditore autonomo
  • che NON è obbligato a vendere e NON ha un incarico (al massimo una mera autorizzazione)
  • NON ha una zona e/o esclusiva
  • procura ordini in modo saltuario e non continuativo (no quindi compenso periodico)
  • il compenso variabile in base agli ordini procurati
  • idealmente il totale dei compensi è inferiore a 5000 euro annui
  • NON può avere acconti e NON può avere rimborsi spese
  • NON ha una zona e/o esclusiva
  • NON ha una durata
  • può operare anche presso soggetti diversi da privati consumatori

Trattamento fiscale 23% su 50% di imponibile e 22% IVA (salvo adesione del procacciatore a regimi forfettari)

Codice reddito in CU: “U”.

Ricorrendo queste caratteristiche (e solo se ricorrono queste caratteristiche) il soggetto non va iscritto all’Enasarco.

Venditori porta a porta con lettera di incaricato alle vendite dirette ex legge n. 173/2005

Veniamo poi all’ultimo tipo di contratto utilizzabile per regolare il rapporto con i venditori porta a porta.

A dire il vero anche questa tipologia di contratto presenta una ulteriore suddivisione a seconda che l’incaricato alle vendite svolga l’attività in modo “abituale” o “occasionale”.

In entrambi i casi, ad ogni modo, le caratteristiche che contraddistinguono il venditore porta a porta con lettera di “incarico” ex l. n. 173/2005, come anche precisato dall’attuale art. 69 D.lgs 59/2010 sono:

  • essere in possesso di una semplice lettera scritta di “autorizzazione” alle vendite dirette ex l. n. 173/2005
  • NON avere alcun obbligo di vendita
  • NON avere una zona in cui operare in via esclusiva, nè una esclusiva di zona
  • NON avere obiettivi di vendita
  • NON avere una durata
  • possibilità di procurare vendite unicamente presso privati consumatori presso il loro domicilio o gli altri luoghi indicati dalla legge
  • rispetto degli adempimenti fiscali e previdenziali tipici di questa tipologia.

Inoltre, l’incaricato (o meglio l'”autorizzato”) alle vendite ex legge 173/2005 non è compatibile con un incarico di coordinamento di altri agenti.

Non è altresì compatibile con lo svolgimento dell’attività di vendita presso soggetti diversi da privati consumatori o luoghi diversi da quelli indicati nella legge 173/2005.

Vediamo nel dettaglio.

Incaricato (“autorizzato”) alle vendite dirette ex legge 173/2005 “abituale”

L’incaricato (autorizzato) alle vendite dirette ex legge n. 173/2005 abituale, può presentarsi in modo molto simile al venditore porta a porta con contratto di agenzia per la potenziale “periodicità” del compenso e l’ammontare annuo dei compensi che è superiore a euro 5.000,00 annui.

Infatti, è ritenuto incaricato alle vendite abituale il venditore con reddito superiore a euro 5.000 “netti” annui (corrispondenti a euro 6.410,26 al lordo della deduzione forfettaria del 22% prevista per questa categoria di redditi).

Tuttavia, ciò che lo contraddistingue dal contratto di agenzia è che il venditore porta a porta con lettera di incarico ex legge 173/2005 non è (e non deve essere) obbligato a vendere.

In altre parole, la lettera di incarico non dovrà prevedere obblighi di vendita.

Altro aspetto, è la particolare disciplina del trattamento fiscale e previdenziale.

Il compenso del venditore porta a porta abituale con lettera di incarico ex legge 173/2005  è soggetto all’imposta sostitutiva a titolo definitivo (quindi NON ad una ritenuta a titolo “d’acconto”) del 23% sul 78% dell’imponibile lordo (o il 23% sull’imponibile già al netto della deduzione forfettaria), oltre IVA (cfr. Risoluzione n. 18/E A.d.E. 17.1.2006).

Codice reddito in CU: “V”.

Questo reddito NON è compatibile con l’ammissione del venditore a regime forfettario perchè il trattamento fiscale previsto per l’incaricato alle vendite ex legge 173/2005 è già agevolato.

Dal punto di vista previdenziale, il venditore porta porta abituale ex l. n. 173/2005 deve versare la contribuzione INPS, da ripartire 2/3 a carico ditta mandante e 1/3 a carico venditore, ma non alla contribuzione Enasarco.

Ricorrendo tutte queste caratteristiche, la giurisprudenza ha escluso che questi venditori siano infatti inquadrabili come agenti di commercio e quindi che l’Enasarco sia dovuto (cfr. da ultimo Corte d’Appello Roma 23/2/2024 n. 791).

Anche l’Enasarco quindi, adeguandosi a tale orientamento, normalmente si astiene dal riprendere queste figure laddove rileva coerenza sia dal punto di vista contrattuale che previdenziale e fiscale.

Ben diverso invece il rischio qualora, pur in presenza di un venditore porta a porta abituale con lettera di autorizzazione alle vendite ex legge 173/2005, risulti un contenuto del contratto incompatibile con questa figura e/o risulti l’emissione di fatture per provvigioni in regime forfettario o con ritenuta 23% su 50%, l’attribuzione in CU di un codice reddito “R” (agente plurimandatario) o “U” (procacciatore),  la mancanza di riaddebito dei 2/3 INPS alla ditta mandante.

Si tratta infatti di incongruenze importanti rispetto alla pretesa qualifica dell’incaricato alle vendite ex legge 173/2005, che possono quindi esporre le aziende a contestazioni in sede di ispezione Enasarco, il quale potrebbe riqualificare la lettera di incarico come contratto di agenzia e richiedere il versamento della contribuzione Enasarco.

La ripresa, se basata solo su incongruenze fiscali e previdenziali, potrebbe forse anche essere discutibile da parte di Enasarco, potendosi sostenere che gli aspetti fiscali e previdenziali non qualificano il rapporto e valga la lettera di incarico ex legge 173/2005.

Tuttavia, il fatto che il trattamento fiscale e previdenziale non sia corretto potrebbe comunque esporre la ditta mandante a segnalazioni agli altri Enti coinvolti (Agenzia delle Entrate e INPS) dati i mancati versamenti o versamenti errati, e quindi a ispezioni da parte di questi ultimi per il recupero delle ritenute e contributi non versati (con effetti anche potenzialmente più onerosi di quelli Enasarco).

Tale evenienza quindi, all’atto pratico, richiede attenta analisi rispetto all’opportunità di impugnare o meno eventuali riprese Enasarco.

Incaricato (“autorizzato”) alle vendite ex legge 173/2005 “occasionale”

In ultimo, il venditore porta a porta con lettera di incarico senza obblighi di vendita il cui reddito sia inferiore a Euro 5.000.00 netti annui può rimanere qualificato come incaricato alle vendite occasionale, senza obbligo di apertura della partita IVA nè versamento contributi INPS.

Rimane invece sempre dovuta la trattenuta a titolo di imposta sostitutiva sul reddito del 23% sul 78% del reddito lordo.

Quindi anche in questo caso, sia pure il rischio di ripresa Enasarco sia contenuto per via dell’ammontare del reddito, comunque una fatturazione con ritenuta d’acconto 23% su 50% o regime forfettario e tipologia reddito in CU come “U” (procacciatore) è incongrua.

Come è possibile constatare, la materia può rivelarsi complessa, come il rischio di “cadere” in una tipologia o in un altra di contratto. Sei sei quindi una impresa che svolge attività di vendita “diretta” e hai dubbi su come stai regolando i tuoi rapporti con i venditori o hai necessità di iniziare a farlo, siamo a tua disposizione per offrirti assistenza. Qui puoi trovare i nostri riferimenti.

Buon lavoro!

Avv. Angela Tassinari

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anticipo provvigionaleAnticipo provvigionale: puoi chiedere la restituzione al tuo agente se non matura provvigioni sufficienti a coprirlo?

La situazione è piuttosto frequente. E’ il caso in cui la mandante, per concedere maggiore liquidità all’agente, paga delle somme periodiche a titolo di “anticipo provvigionale” o “anticipazioni provvigionali”.

Si tratta spesso di somme forfettarie (es. 1.500,00 euro, ma anche 3-4 mila euro), pagate a cadenza mensile, a rigore da conguagliarsi poi con le provvigioni effettivamente maturate.

Cosa succede in mancanza di accordo scritto che regoli l’anticipo provvigionale?

Anticipo provvigionale senza accordo scritto

Se il rapporto è ben regolato, a fronte del riconoscimento di queste anticipazioni viene firmato uno specifico accordo tra la mandante e l’agente, all’interno del quale vengono, o almeno dovrebbero, essere precisati l’importo, la cadenza dei pagamenti, la cadenza dei conguagli e la precisazione che tali conguagli possano avvenire sia in senso positivo sia anche negativo.

Capita tuttavia a volte che la pattuizione sia solo verbale e che sulla base di queste intese l’agente proceda direttamente ad emettere fattura  con la dicitura “anticipo provvigionale”.

Capita magari anche che per tutta la durata del rapporto l’anticipo provvigionale risulti sempre superiore alle provvigioni effettivamente maturate senza tuttavia che la mandante proceda ad effettuare alcun recupero e conguaglio.

Alla fine del contratto di agenzia, però, specie nel caso in cui sia la mandante ad interromperlo di propria iniziativa e quindi debba pagare anche le indennità di fine rapporto, la questione salti fuori.

La mandante infatti magari non è interessata a fare una causa per recuperare gli anticipi non conguagliati ma sicuramente è interessata a non pagare indennità o residui provvigionali che quindi vorrebbe compensare.

La domanda è se, laddove non sia stato concordato nulla di scritto riguardo alla “recuperabilità” degli anticipi non conguagliati, la mandante possa farlo e quindi possa portare in compensazione il debito dell’agente con il proprio (e magari riservarsi il maggior credito).

Oppure se, in mancanza di espressa pattuizione sul conguaglio, gli anticipi si “trasformino” per l’agente in “minimi garantiti” non recuperabili.

La buona notizia per le mandanti è che, se anche nulla è stato pattuito riguardo la recuperabilità degli anticipi, la giurisprudenza ha stabilito che l’anticipo “per sua natura” è conguagliabile.

La Corte d’Appello di Brescia, infatti, con sentenza 25/5/2021, n. 45, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale di Brescia n. 603/2019, ha infatti stabilito che “trattandosi di anticipi di future provvigioni, è logico e naturale, senza necessità di alcuna espressa previsione, che essi siano conguagliabili con le provvigioni in concreto maturate. Ed invero, un’ espressa previsione sarebbe necessaria solo a contrario, ossia per dichiarare che gli anticipi costituiscono in realtà un compenso minimo garantito non soggetto a conguaglio. Detto diversamente: la conguagliabilità è la regola insista nella natura degli anticipi e non abbisogna di espressa previsione; la non conguagliabilità degli anticipi è l’ eccezione e necessita di espressa previsione“.

La “cattiva” notizia però è che per avere ragione la mandante ha dovuto affrontare due gradi di giudizio tenendosi a proprio carico le spese legali: il Giudice infatti alla fine ha compensato le spese.

Di conseguenza, pur avendo avuto ragione, la mancanza di un adeguato accordo ha costretto la mandante a due cause e al relativo costo, vanificando quindi almeno in parte i vantaggi di aver “ragione”.

Peraltro, ai fini della quantificazione degli anticipi da recuperare, passaggio importante è risultato quello dell’invio periodico da parte della mandante dei prospetti contenenti le provvigioni anticipate e quelle effettivamente maturate, sicchè l’agente aveva sempre avuto contezza dell’andamento tra anticipi e provvigioni.

Quindi, pur rimanendo conguagliabili (in negativo) i anticipi provvigionali anche senza un accordo specifico, rimane comunque buona cosa l’invio periodico di prospetto da quale risulti l’ammontare delle provvigioni effettivamente maturate rispetto agli anticipi erogati.

In qualsiasi modo quindi il tema dell’anticipo provvigionale rimane un tema delicato che è bene gestire e disciplinare adeguatamente anche solo per non avere contestazioni.

Anticipo provvigionale e gestione operativa

Ciò vale anche sotto un altro profilo, e cioè sul piano contributivo Enasarco.

Va infatti rilevato che gli anticipi provvigionali non conguagliati superiori alle provvigioni effettivamente maturate non costituiscono un “acconto” delle provvigioni, quanto più un “prestito” che l’agente deve poi restituire e dunque “stonano” con l’assoggettamento a contribuzione.

Tuttavia, poichè il contributo previdenziale Enasarco è da calcolare su tutte le somme dovute in corso di rapporto, compresi gli “acconti”, laddove si volesse effettivamente escludere da contribuzione Enasarco l'”anticipo provvigionale”, o per lo meno la parte non “maturata”, non ci si potrebbe permettere di conguagliare gli anticipi provvigionali solo alla fine del rapporto.

Sarebbe a quel punto necessario ogni trimestre regolarizzare, se non finanziariamente, almeno contabilmente lo storno degli anticipi con le provvigioni effettivamente maturate, in modo da conteggiare l’Enasarco solo su queste ultime.

Per ulteriori approfondimenti sul piano operativo ti rimando al mio post “Acconto provvigioni agenti: come gestire i conguagli

Se hai necessità di riconoscere anticipi provvigionali ai tuoi agenti e hai dubbi su come redigere il relativo accordo possiamo offrirti assistenza. Scopri qui cosa possiamo fare per la gestione del contratto di agenzia.

Buon lavoro!

Avv. Angela Tassinari

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chiusura mandato enasarco Chiusura mandato Enasarco : quando la casa mandante deve comunicarla?

Regola vuole anzitutto che la casa mandante debba comunicare all’Enasarco la cessazione del contratto di agenzia entro 30 giorni.

Può farlo anche l’agente, ma solo se vuole “accelerare” la liquidazione del FIRR da parte dell’Enasarco e non è comunque suo obbligo.

L’obbligo di comunicare la chiusura mandato all’Enasarco rimane della casa mandante, così come deve comunicare l’inizio del mandato.

In caso di mancata o tardiva comunicazione della casa mandante, è prevista una sanzione di euro 250,00.

Farò chiarezza in questo post su cosa si intende esattamente per cessazione del contratto di agenzia, e quindi da quando partono i 30 giorni per la comunicazione.

La questione sembra scontata ma in almeno un paio di casi, per la mia esperienza, ho verificato non fosse poi così ovvio per l’azienda.

Chiusura mandato Enasarco: quando comunicarla se l’agente continua a maturare provvigioni 

Una azienda mia cliente mi ha interpellato un giorno riguardo il momento in cui avrebbe potuto comunicare la chiusura mandato Enasarco in presenza di provvigioni maturate dopo che il preavviso del recesso era scaduto.

L’azienda cioè si poneva la questione se dovesse mantenere aperta la posizione Enasarco dell’agente fintanto che l’agente avesse continuato a maturare provvigioni.

In sostanza si chiedeva se la posizione andasse chiusa solo dopo che l’agente avesse finito di maturare provvigioni.

La domanda derivava dal fatto che, altrimenti, non fosse chiaro come andassero versati i contributi Enasarco sulle provvigioni residue.

Le due questioni (chiusura mandato Enasarco e versamento contributi su provvigioni residue) sono tuttavia ben distinte tra loro, pur essendo strettamente collegate.

La comunicazione di chiusura mandato Enasarco, infatti, è collegata unicamente alla data di cessazione del contratto di agenzia, a prescindere dal fatto che l’agente avrà o meno ancora delle provvigioni da maturare.

In buona sostanza: non bisogna aspettare che l’agente finisca di maturare le provvigioni per comunicare all’Enasarco che il rapporto è cessato.

La comunicazione dunque va fatta entro 30 giorni da quando cessa il contratto, anche se l’agente continuerà a maturare provvigioni.

Anzi, paradossalmente, è ancora più importante rispettare la comunicazione rispetto alla data di cessazione proprio in presenza di eventuali provvigioni residue.

La data di cessazione del contratto, infatti, serve anzitutto per interrompere il rapporto previdenziale nel trimestre in cui si è verificata la cessazione, evitando che all’agente possano essere attribuiti trimestri di anzianità contributiva che non gli spettano.

Anche qualora quindi vi fossero provvigioni residue e su queste andasse (ancora) conteggiato il contributo previdenziale, la comunicazione di cessazione andrà fatta in ogni caso entro 30 giorni da quando l’agente ha smesso di lavorare.

Per il versamento dei contributi sulle provvigioni residue se ve ne fossero, si tratterà di compilare  la distinta ordinaria fino a quando l’agente cessato comparirà nell’elenco, e successivamente di compilare la distinta non ordinaria G14 nella quale andranno indicati il trimestre solare in cui la provvigione è maturata e la data effettiva di cessazione del contratto.

Chiusura mandato Enasarco e preavviso: va compreso o escluso nella indicazione della data di cessazione?

Per data di cessazione si intende data effettiva di chiusura del contratto.

Coincide quindi con l’ultimo giorno di lavoro da parte dell’agente compreso il periodo di preavviso

Non è dunque corretto sostenere,  come un agente ha tentato di fare con la mandante dopo aver  inviato per primo il modulo di chiusura del mandato, che la data da indicare come data di cessazione sia la data di comunicazione del recesso a prescindere dal preavviso.

La data da indicare si riferisce infatti alla data effettiva di cessazione del contratto, compreso dunque l’eventuale preavviso se lavorato dall’agente.

Solo se non fosse stato concesso il preavviso o l’agente fosse stato liberato, allora la data coinciderà con la data di comunicazione del recesso (o la data di rinuncia del preavviso).

Altrimenti bisognerà aspettare la fine del preavviso.

Per saperne di più sulla chiusura mandato Enasarco e sugli altri adempimenti Enasarco a carico della mandante, puoi contattarci cliccando qui

Buon lavoro!

Avv. Angela Tassinari

 

 

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patto non concorrenza agenti

Patto di non concorrenza agenti: si può fare senza pagare indennità o compensi all’agente?

Diciamo subito che il patto di non concorrenza agenti per il periodo successivo alla cessazione del contratto di agenzia è, di regola, “a pagamento”.

La casa mandante deve cioè corrispondere un compenso specifico all’agente a fronte di questo impegno. Ma è sempre così?

Patto di non concorrenza agenti e art. 1751 bis c.c.

Stiamo anzitutto parlando dello specifico patto, o della specifica clausola del contratto di agenzia, stipulato ai sensi dell’art. 1751 bis del codice civile (da non confondere con il più “blasonato” art. 1751 del codice civile che prevede tutt’altro) con cui l’agente si impegna a non svolgere attività in concorrenza dopo che cessa il contratto di agenzia.

Non stiamo quindi parlando dell’obbligo che l’agente (plurimandatario) ha “in automatico” di non fare concorrenza durante il contratto e per il quale la legge non prevede alcuna contropartita.

Invece, per il patto di non concorrenza agenti stipulato ai sensi dell’attuale art. 1751 bis del codice civile, è previsto che la casa mandante debba ricompensare a parte l’agente per questo impegno che si assume.

La previsione di questo compenso per il patto di non concorrenza post-contratto è stata in particolare introdotta dalla legge n. 422 del 29.12.2000 a partire dal 1.6.2001.

Da questa data in poi quindi il patto di non concorrenza agenti è diventato di norma “a pagamento” per la casa mandante.

Prima di questa data, il patto di non concorrenza era invece, di norma, gratuito per l’azienda, cioè il patto non prevedeva compenso e quindi l’agente si obbligava senza dover ricevere nulla in cambio.

I criteri matematici per il calcolo del compenso per il patto di non concorrenza agenti non sono direttamente previsti dall’art. 1751 bis codice civile che si limita a stabilire dei principi e a fare riferimento alla “contrattazione collettiva”.

La “contrattazione collettiva” è costituita dagli Accordi Economici Collettivi che prevedono precise modalità di calcolo che variano da A.E.C. ad A.E.C. e che possono rivelarsi anche particolarmente costose.

In caso di contratti di agenzia regolati dagli Accordi Economici Collettivi, in particolare dall’A.E.C. settore Commercio 2009 e A.E.C. settore Industria 2014 sarà peraltro direttamente a queste disposizioni che dovrà farsi riferimento.

Ad esempio, in caso di applicazione dell’Accordo Economico del settore Commercio 2009, in base ai criteri previsti dall’art. 8, un agente monomandatario, con una anzianità di servizio fino a 5 anni e un patto di non concorrenza di 2 anni, ha diritto a circa 10 mesi di provvigioni.

Considerato che questo compenso si aggiunge alle indennità di fine rapporto se dovute (cioè se il contratto di agenzia si interrompe per causa dell’azienda), l’importo complessivo può arrivare a cifre considerevoli.

Ci sono però delle ipotesi in cui è ancora possibile che il patto di non concorrenza sia “gratis”, cioè la casa mandante possa non pagare nulla all’agente.

Se sei una casa mandante, prima di metterti a fare i conti o prima di rinunciare a inserirlo nel tuo contratto di agenzia, verifica quindi se ricadi in una delle ipotesi che seguono.

Si tratta di tre “deroghe”. Una è prevista direttamente dalla legge, le altre due dalla giurisprudenza. Vediamole.

Patto di non concorrenza agenti e agenti società di capitali

La Legge Comunitaria n. 422/2000 che ha introdotto il compenso per il patto di non concorrenza agenti, ha previsto espressamente alcune esclusioni da questa previsione.

Ha in particolare previsto che la previsione del compenso non si applichi quando l’agente sia una società di capitali (s.r.l. o S.p.A.).

Esclusioni che poi sono state riprese (e in alcuni casi “ristrette”) dagli Accordi Economici Collettivi.

La Legge Comunitaria n. 422/2000 in particolare ha previsto che la disposizione sulla previsione del compenso non si applichi in caso di agenti organizzati come società di capitali (cioè in forma di s.r.l. o S.p.A) con due o più soci (si applica quindi in caso di agenti società di capitali a socio unico).

L’Accordo Economico Collettivo o A.E.C. settore Industria 2014, art. 14, “copia” la legge e quindi non applica la previsione del compenso agli agenti organizzati sia come S.p.A., sia come s.r.l., con due o più soci .

L’A.E.C.settore Commercio 2009, art. 8, invece esclude dal compenso (solo) gli agenti organizzati come S.p.A. con due o più soci. Mantiene quindi “a pagamento” il patto con tutti gli agenti in forma di s.r.l. (quindi anche ad unico socio), oltre che in forma di S.p.A. con un socio).

Nei casi di agenti società di capitali, dunque, c’è la possibilità che il patto di non concorrenza ex art. 1751 bis codice civile rimanga automaticamente gratuito e senza necessità di doverlo specificare.

Naturalmente però se, non conoscendo questa deroga, nel patto di non concorrenza è stato previsto che l’agente avesse diritto al compenso, a quel punto dovrà essere pagato.

La “buona notizia” per la casa mandante però in questi casi è che se è stato previsto che il compenso venisse pagato durante il contratto destinando una parte della provvigione a corrispettivo del patto, questa pattuizione è valida e quindi il patto di non concorrenza potrebbe essere già stato pagato.

Patto di non concorrenza agenti e contratti firmati prima del 1.6.2001

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 1.6.2015, n. 12127, ha risolto una annosa questione riguardo tutti quei contratti di agenzia stipulati prima del 1.6.2001 (la data cioè dalla quale il patto è diventato a pagamento.

Tanti “vecchi” contratti di agenzia, infatti, siccome il patto di non concorrenza agenti in origine era gratuito, avevano e hanno tutt’ora inserito questa clausola di default senza la previsione di alcun compenso, perchè all’epoca non costava nulla.

Dopo che il patto di non concorrenza è diventato a pagamento, però, per tutti i contratti di agenzia stipulati prima del 1.6.2001 e cessati dopo tale data in cui era stata inserita la clausola del patto di non concorrenza senza compenso, le aziende si sono trovate esposte al rischio di doverli pagare.

La Corte di Cassazione invece, con la sentenza sopra richiamata, ha stabilito che se il contratto di agenzia è stato stipulato prima del 1.6.2001 senza che nel patto di non concorrenza sia stato previsto un compenso, il patto continua a rimanere gratuito anche se il contratto di agenzia cessa dopo il 1.6.2001. Questo perchè la legge in vigore quando il contratto di agenzia è stato stipulato non prevedeva l’obbligo di pagare l’agente.

Il principio vale però se il contratto di agenzia non è stato cambiato dopo il 1.6.2001.

Il principio infatti non vale più se, pur essendo il rapporto iniziato prima del 1.6.2001, il testo del contratto sia stato cambiato dopo il 1.6.2001 con un altro testo in cui è stata ribadita la clausola del patto di non concorrenza.

A quel punto infatti non si potrà più dire che la clausola era stata pattuita in una momento in cui la legge non prevedeva un compenso per il patto di non concorrenza agenti. Essendo stato “ristipulato” dopo che la normativa è cambiata, rimarrà regolato dalla nuova normativa.

Anche in questi casi, peraltro, potrebbe esserci una “buona notizia”.

Se infatti fin dalla sua stipulazione (anche prima del 1.6.2001) fossero state riconosciute somme a titolo di acconto del patto di non concorrenza “salvo conguaglio”, alla fine del rapporto di agenzia tali acconti complessivi potrebbero essere superiori agli importi che sarebbero stati dovuti in base ai criteri stabiliti dagli Accordi Economici Collettivi.

L’agente quindi, oltre a dover rispettare il patto di non concorrenza, potrebbe essere costretto a restituire l’eccedenza.

Patto di non concorrenza agenti ed esclusione espressa del compenso

Un’ultima ipotesi, che si è ricava incidentalmente dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 12127/2015 sopra citata, e che poi è stata ribadita dalla giurisprudenza anche in successive occasioni, riguarda la possibilità che le parti, per i contratti stipulati dopo il 1.6.2001 e nei casi in cui il patto di non concorrenza sarebbe a pagamento, escludano invece espressamente tale compenso.

Non si tratta quindi del caso in cui le parti nulla dicono nella clausola del patto di non concorrenza riguardo al compenso, ma del fatto in cui le parti lo escludano espressamente.

Una pattuizione di questo tipo è ritenuta valida.

La Corte di Cassazione, infatti, nella citata sentenza poi ripresa da sentenza successive, nel corso della motivazione ha rilevato incidentalmente che la Legge Comunitaria n. 422/2000, modificando l’art. 1751 bis c.c., non abbia introdotto al previsione del compenso “a pena di nullità” del patto di non concorrenza ma abbia solo stabilito che il patto di non concorrenza sia  di regola “a pagamento”.

Ciò significa che una deroga espressa delle parti, cioè una pattuizione che espressamente escluda il diritto al compenso, sarebbe valida.

Peraltro, se tale principio è applicabile ai contratti di agenzia regolati direttamente dal codice civile (senza cioè un richiamo anche dagli Accordi Economici Collettivi), sembra invece non applicabile quando il contratto di agenzia risulta regolato anche dagli Accordi Economici Collettivi.

Gli Accordi Economici Collettivi, infatti, prevedono i criteri di calcolo del compenso per il patto di non concorrenza e non prevedono espressamente la possibilità di deroga.

L’A.E.C. settore Industria 2014  art. 14 ad esempio fa salvi solo gli accordi “più favorevoli” riguardo alla “misura” del compenso.

Sembra quindi che gli A.E.C. introducano un trattamento di “miglior favore” per gli agenti nel prevedere il compenso (escluso agenti società di capitali come visto sopra) che non è quindi derogabile.

In caso quindi di contratto di agenzia regolato anche dagli Accordi Economici Collettivi, una eventuale esclusione del compenso del patto di non concorrenza non sarebbe valido.

Patto di non concorrenza agenti e acconti

Un tema legato al compenso per il patto di non concorrenza agenti che accenno riguarda quello di riconoscere “acconti” durante il contratto di agenzia, così da “ridurre” se non addirittura escludere che alla fine del contratto di agenzia la casa mandante debba pagare altre somme sulla base dei conteggi dell’A.E.C..

L’art. 1751 bis codice civile non esclude espressamente la possibilità di acconti.

Anche l’A.E.C. settore Industria 2014 non lo vieta, specificando solo che il compenso per il patto di non concorrenza agenti ha natura “non provvigionale”.

Anche l’A.E.C. settore Commercio 2009 prevede che il compenso per il patto di non concorrenza agenti non ha natura provvigionale precisando però anche che andrebbe pagato “inderogabilmente” in un unica soluzione alla fine del contratto di agenzia. Lo scrupolo è chiaramente quello di evitare la prassi che l'”acconto” altro non sia che una quota parte della provvigione che la casa mandante quindi avrebbe pagato comunque. In sostanza che si tratti di una provvigione “simulata”.

In linea di massima, la giurisprudenza ritiene valida la previsione di acconti per il patto di non concorrenza agenti durante il rapporto in anche in forma “percentuale”, ritenendo che la natura “non provvigionale” prevista dagli A.E.C. rileverebbe solo ai fini fiscali e previdenziali.

Quindi non sarebbe facile per l’agente sostenere che gli acconti del patto di non concorrenza sarebbero in realtà provvigioni “simulate”  solo perchè sono stati riconosciuti nel corso del contratto di agenzia e in forma percentuale.

Tuttavia il mio suggerimento in caso di riconoscimento di acconti sul compenso per il patto di non concorrenza agenti, specie se il contratto di agenzia è regolato dall’A.E.C. settore Commercio 2009, è quello di prevedere un conteggio e un pagamento tenuto distinto dalle provvigioni e anche assoggettato al trattamento fiscale suo proprio che è diverso da quello delle provvigioni.

In tal modo, se anche il riconoscimento di acconti non fosse valido e venisse preteso un conteggio “da zero”, tali acconti non potrebbero essere imputati automaticamente a provvigioni e quindi l’agente, se anche ne eccepisse la nullità, sarebbe costretto a doverli restituire in quanto privi di titolo, vanificando così di fatto la richiesta di un nuovo conteggio.

Molte ulteriori questioni riguardano il patto di non concorrenza agenti, come ad esempio se si possa posticipare alla fine del periodo stabilito per la non concorrenza o se possa riguardare anche zone, prodotti e clienti ulteriori rispetto a quelli assegnati nel contratto di agenzia, così come, per i casi in cui è dovuto, quanto potrebbe costare in concreto e se ne valga la pena in base ai benefici.

Se sei una casa mandante o un professionista che ha necessità di approfondire queste tematiche, cliccando qui puoi contattarci e scoprire cosa possiamo fare per te.

Buon lavoro!

Avv. Angela Tassinari

 

 

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fac simile contratto di agenziaFac simile contratto di agenzia: si tratta di una ricerca molto diffusa in internet, del tutto comprensibile. Ma sai cosa stai scegliendo?

Fac simile contratto di agenzia: a ciascuno il suo

Richiedere un contratto di agenzia “su misura” incaricando un professionista o reperire un testo già predisposto e sceglierlo autonomamente, è un po’ come richiedere un “abito sartoriale” piuttosto che un abito “pret a porter”,

I benefici o i costi/rischi di entrambe le modalità sono noti.

Il paradosso però è che nella ricerca e nella scelta di un abito “già pronto”  viene spesso messa molta più cura che nella scelta di un fac simile contratto di agenzia.

Riguardo al contratto di agenzia viene infatti spesso ricercato genericamente solo un “fac simile” ma è come se entrando in un negozio o digitando in internet si cercasse genericamente “un abito” o “un vestito”.

Quando invece si cerca un abito già pronto, comunque si ricercano anche la taglia, il colore, la tipologia (gonna, pantalone), il tessuto ecc.

Si selezionano cioè tutta una serie di caratteristiche che l’abito dovrebbe avere.

Quando invece si ricerca un fac simile contratto di agenzia, sembra che ci sia un unico testo che vada bene tutto.

Invece, come per i vestiti, anche il contratto di agenzia può avere una serie di variabili che si possono scegliere.

Sono variabili estremamente importanti da conoscere prima di cimentarsi nella scelta di un fac simile contratto di agenzia senza essere assistiti, per evitare di ordinare un prodotto che solo dopo averlo usato si scopre non avere le caratteristiche che si pensava che avesse.

Con l’importante differenza rispetto ad un vestito, che una volta “applicato” e fatto firmare all’agente non può essere più “restituito”.

Ti aiuto quindi a conoscere quali sono queste variabili, così che se deciderai di affidarti ad un fac simile contratto di agenzia potrai verificare come sono regolate nel fac simile e nel caso integrare/modificare il testo (con cautela…) o scegliere il tuo fac simile contratto di agenzia con più cura.

Fac simile contratto di agenzia: 13 variabili (ma portano fortuna)

Normativa applicabile: solo il Codice Civile o Accordo Economico Collettivo?

Questa è una variabile “da 90”. Difficile da liquidare in poche righe.

Tuttavia è una tematica sempre più attuale quella di stabilire se regolare il contratto di agenzia solo in base alla legge (cioè in base al codice civile, art. 1742 e seguenti) o anche dai contratti nazionali di categoria, cioè gli Accordi Economici Collettivi (o A.E.C.)

Dalla scelta della normativa applicabile discendono diverse conseguenze importanti, a partire dal calcolo dell’indennità di fine rapporto.

Se applichi solo la legge, ricordati poi che non è prevista la possibilità di fare variazioni senza consenso dell’agente, che non è previsto nulla in caso di malattia/infortunio/gravidanza ecc., che i termini di preavviso sono diversi (… sempre sicuro di fare il fai da te? :))

Supponendo che tu abbia già fatto questa valutazione, nel fac simile contratto di agenzia dovrà quindi verificare se è previsto che il contratto di agenzia sia regolato solo dal codice civile o anche dall’A.E.C.

In quest’ultimo caso, verifica che sia identificato esattamente quale A.E.C. e non ci sia solo un rimando generico e plurale “agli accordi economici collettivi”.

Infatti, di A.E.C. ce ne sono almeno 15 (anche se i principali sono 3: settore Commercio, firmato da Confcommercio, settore Industria, firmato da Confindustria e settore Piccola e Media Industria firmato da Confapi.

Per saperne di più sugli Accordi Economici Collettivi e su quando sia obbligatorio applicarli, ti rimando a questo post.

Proseguiamo.

Monomandato o plurimandato

Questo tema è più semplice, anche se non da sottovalutare.

Il tuo agente dovrà lavorare esclusivamente per te o potrà lavorare anche per altri?

Nel primo caso dovrà esserci scritto espressamente nel fac simile contratto di agenzia che l’agente è monomandatario, il che vuol dire, perchè tu lo sappia, che si impegna a lavorare solo per te e non potrà lavorare per altri, sia concorrenti che non concorrenti.

Nel secondo caso invece, l’agente avrà come limite quello di non poter assumere mandati concorrenti.

Ricordati però di precisare espressamente che il divieto di assumere mandati concorrenti vale anche al di fuori della zona assegnata, altrimenti potenzialmente fuori dalla zona potrebbe invece assumere mandati concorrenti!

Con esclusiva/senza esclusiva

Altro aspetto “abbastanza” semplice: il tuo agente avrà diritto di operare da solo nella zona assegnata o nominerai altri agenti? Cosa è previsto nel fac simile contratto di agenzia che hai trovato?

Nel primo caso il tuo agente sarò un agente con esclusiva e quindi non potrai nominare altri agenti nella stessa zona (prodotti e clienti) assegnata, ne agire direttamente. Se lo farai, si tratterà di una violazione del contratto.

Solitamente, la mandante si impegna a non nominare altri agenti ma si riserva di poter agire direttamente in questo caso comunque pagando la provvigione.

Se invece pensi di mettere sulla stessa zona più agenti, allora si tratterà di agenti senza esclusiva.

Ricordati però che anche se non l’agente non ha l’esclusiva, ce l’ha automaticamente sui clienti che procura (o gli assegni).

Quindi non hanno l’esclusiva di zona ma hanno l’esclusiva sui clienti (leggi anche Agenti senza esclusiva di zona due cose cui pensare).

Puoi in questi casi pensare di stabilire una regola di “decadenza” dell’esclusiva sul cliente in caso di “inattività” del cliente, dicendo ad esempio che se il cliente non invia ordini per 6 mesi l’esclusiva decade e il cliente torna “libero”.

Prodotti

Quando compili il campo dei prodotti assegnati, pensa se stai assegnando tutti i prodotti che commercializzi o solo una parte. Pensa anche se magari in futuro creerai linee diverse che potresti non assegnare alla stessa rete di vendita.

Quindi, prima di indicare come prodotti “tutti” o “tutti quelli a catalogo”, verifica che non sia opportuno specificare meglio: il canale, la tipologia, il marchio che li contraddistingue ecc., in modo che se un domani volessi introdurre qualcosa di nuovo non sei obbligato ad assegnarlo per forza all’agente.

Clienti direzionali esclusi

Che l’agente abbia o non abbia l’esclusiva, verifica se ci sono clienti individuati per “nominativo” o per “categoria” sui quali non vuoi che l’agente vada a vendere e che quindi “ti riservi” (e sui quali quindi non riconoscerai provvigioni).

Ricordati di individuare questi nomi prima di firmare il contratto e che clausole che prevedono che la mandante possa a sua discrezione far diventare un cliente direzionale sono nulle.

Qualora infatti durante il rapporto avessi necessità di togliere un cliente all’agente, l’agente dovrà essere d’accordo oppure se non lo fosse, e sempre che il contratto di agenzia richiami uno degli A.E.C. che ti ho indicato sopra, dovrai rispettare i limiti previsti per le variazioni unilaterali

Durata: a tempo determinato o indeterminato?

Cosa prevede il fac simile del contratto di agenzia rispetto alla durata? Quale durata vuoi che abbia il contratto di agenzia?

Da parte mia preferisco che il contratto abbia durata “indeterminata” così che la mandante possa interromperlo quando vuole, dando solo il preavviso senza ricordarsi di doverlo disdettare o di doverlo rifare.

Ti rimando qui per spiegarti meglio le differenze e le conseguenze tra i due tipi di durata.

Periodo di prova

Il fac simile di contratto di agenzia che stai usando prevede un periodo di prova inziale durante il quale le parti possono interrompere liberamente il contratto di agenzia senza preavviso?

Ti consiglio di inserirlo sempre, approfondisci qui!

Provvigioni sul “fatturato” o sull'”incassato”

Anzitutto di rassicuro sul fatto che “si può ancora” pagare le provvigioni sull'”incassato”, cioè dopo che il cliente ha pagato la fattura.

Quindi, quando vuoi pagare le provvigioni all’agente? Appena fatturi al cliente o aspetti che il cliente ti paghi?

Nel primo caso dovrà fare il conteggio delle provvigioni sulla base delle fatture semplicemente emesse.

Se invece vuoi pagare sull'”incassato”, cioè dopo che il cliente ha pagato, devi ricordarti di specificarlo nella clausola.

Infatti, se non viene specificato, l’agente avrà diritto alle provvigioni direttamente sul “fatturato”.

Ricordati che se paghi sul “fatturato” non puoi (o non potresti) stornare le provvigioni a piacimento appena non è pagata la fattura ma dovresti dimostrare di aver svolto attività di recupero.

Scaletta provvigionale al variare degli sconti

Non sottovalutare i criteri di calcolo delle provvigioni.

Nei fac simile contratto di agenzia solitamente questa parte viene lasciata alla discrezione della mandante.

Ricordati quindi al riguardo di indicare lo sconto massimo che l’agente è autorizzato a proporre senza preventiva autorizzazione. Soprattutto, se intendi riconoscere una provvigione decrescente in base agli sconti, ricordati di fare una tabella indicando gli sconti e la provvigione corrispondente: non puoi a tua discrezione ridurre la provvigione in base allo sconto senza averlo prima concordato.

Incassi

Cosa prevede il fac simile contratto di agenzia riguardo agli incassi da parte dell’agente? Se non è previsto nulla o ti fa scegliere, cosa deve fare il tuo agente?

Ricordati che c’è differenza tra far incassare solo gli insoluti e far invece incassare le fatture alla loro scadenza da parte dell’agente (cioè il cliente, invece che fare il bonifico o pagare la RIBA, deve pagare a mani dell’agente).

Nel primo caso (incasso solo insoluti) non è obbligatorio prevedere una indennità di incasso, nel secondo caso si.

Diritto / divieto di incaricare  subagenti

Il tuo agente può nominare subagenti (cioè venditori autonomi)?

Se non vuoi che nomini subagenti o vuoi che lo faccia solo previa tua autorizzazione, devi prevedere una clausola apposta e devi ricordarti poi di far firmare questa clausola “due volte” (cioè è una clausola vessatoria che quindi deve essere richiamata dopo la prima firma, per una seconda firma).

Minimi di vendita

Il fac simile contratto di agenzia prevede la possibilità di pattuire dei minimi di vendita?

In questo caso devi verificare che sia anche previsto cosa succede se non vengono raggiunti (ad esempio: il contratto di agenzia può essere risolto di diritto, o ai sensi dell’art. 1456 c.c.).

Se non prevedi infatti le conseguenze del mancato raggiungimento, non puoi invocarla come se invece fosse stato previsto.

Ricorda però che i minimi di vendita devono essere concordati, quindi non basta che glieli comunichi all’agente, e che l’ammontare deve essere credibile come minimo di vendita (cioè non deve essere un “minimo” che se lo raggiunge è previsto magari anche un premio).

Anche se poi non vengono raggiunti e cessi il contratto di agenzia per questo motivo, non è detto che sia automatico il fatto che l’agente non abbia diritto a preavviso e indennità e quindi comunque dovrai ponderare bene questa scelta.

Resta il fatto che è uno strumento di gestione importante del rapporto e quindi ti suggerisco di prenderla in considerazione.

Per approfondire come “scrivere” una clausola sui minimi di vendita, leggi qui!

Tribunale competente in caso di controversia

Il Tribunale competente in caso di litigio è per legge (art. 413 c.p.c.) quello della residenza dell’agente, se l’agente è una ditta individuale.

Se invece l’agente opera in forma di società (ad esempio s.a.s., s.n.c. o s.r.l.), puoi prevedere una clausola che specifichi che il Foro esclusivo competente è quello della sede della mandante.

Deve essere specificato che si tratta di un foro “esclusivo” e anche questa clausola deve essere richiamata dopo la prima firma del contratto per essere firmata “due volte” (cioè è una clausola vessatoria).

* * *

Come avrai visto, anche quindi in caso di contratto di agenzia “pret a porter” puoi scegliere molto di più che un semplice “fac simile” contratto di agenzia.

Un contratto di agenzia fatto su misura da un professionista potrà prendere in considerazioni ulteriori variabili e aiutarti in ogni caso a scegliere meglio, ma ciò che mi preme è che tu abbia compreso che non tutti i contratti di agenzia sono uguali e non tutti i fac simile contratto di agenzia vanno necessariamente bene per il “tuo” caso e quindi ti abbia aiutato a riflettere sulle variabili più importanti.

Per il resto noi siamo qui

Buon lavoro!

Avv. Angela Tassinari 

 

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cessione del contratto di agenziaLa cessione del contratto di agenzia è una delle situazioni che la Mandante può trovarsi ad affrontare nel corso del rapporto con un agente.

Come si può immaginare dal nome, comporta che il contratto di agenzia passi da un soggetto ad un altro.

Se a cambiare è l’agente, significa che il contratto di agenzia passa dall’agente “A” all’agente “B”.

Detto così, è facile che la Mandante “alzi la mano” e dica che non è d’accordo e si chieda se l’agente può farlo liberamente.

Se però, invece che dire che il contratto passa dall’agente “A” all’agente “B”, l’agente dicesse che “per questioni fiscali apre una società” , o che “apre una società con la moglie/il figlio”, o ancora che “chiude la ditta individuale e diventa una srl” o che “cambia nome”, allora la Mandante potrebbe trarsi in inganno e non riconoscere immediatamente che anche in questi casi si è in presenza di una cessione del contratto di agenzia, perchè tanto “l’agente è sempre lo stesso“.

Anche per queste ipotesi, dunque, valgono le regole che valgono in generale in caso di cessione del contratto di agenzia.

Vediamo quali sono

Cessione del contratto di agenzia: cosa comporta?

Per capire come la Mandante può gestire questa situazione è necessario anzitutto comprendere cosa comporta la cessione del contratto di agenzia.

Quando si verifica una cessione del contratto di agenzia da parte dell’agente, significa che il rapporto inizialmente nato con l’agente “A” a un certo punto prosegue con l’agente “B” senza interruzione.

Questo significa quindi anzitutto che non si verifica alcuna cessazione “giuridica” del rapporto.

Certo, cessa di fatto la collaborazione con l’agente “A” ma solo perchè il rapporto si trasferisce all’agente “B” con cui prosegue in continuità.

Verificandosi solo un trasferimento del contratto senza interruzione, non è nemmeno necessario “rifare” il contratto con il nome del nuovo agente, perchè con la cessione del contratto il nome si sostituisce in automatico.

La cessione del contratto di agenzia comporta dunque che il secondo agente subentra al posto del primo senza interruzione, e quindi è come la Mandante avesse sempre avuto a che fare con l’agente “B” sin dall’inizio.

Di conseguenza, l’agente “B” si ritrova automaticamente tutta l’anzianità di servizio del primo agente e subentra in tutti i diritti e gli obblighi che aveva l’agente “A”.

In questo modo, le indennità di fine rapporto rimangono “congelate”.

Il primo agente cioè non le “perde” ma nemmeno la Mandante deve pagare nulla perchè si “trasferiscono” al nuovo agente, il quale ne avrà diritto o meno a seconda dei motivi per cui cesserà il rapporto.

Se il contratto di agenzia è a tempo indeterminato, poi, la durata del prevviso in caso di cessazione dipendere dalla durata del contratto partendo dal primo agente.

Cessione contratto di agenzia: la Casa Mandante è obbligata ad accettarla?

La Casa Mandante NON è obbligata ad accettare la cessione del contratto di agenzia.

Questo indipendentemente dal fatto che nella maggior parte dei contratti di agenzia che vengono firmati è prevista una clausola che preveda il divieto per l’agente di farlo.

Anche senza questa clausola, è la legge stessa – art. 1406 codice civile – che prevede in generale che qualunque contratto può essere trasferito ad un altro “solo” con il consenso del “contraente ceduto”, cioè del contraente che “subisce” la cessione, che in questo caso è la Mandante.

Quindi la Mandante non è obbligata ad accettare il subentro di un nuovo agente (anche se “è lo stesso agente“) così come l’agente non ha diritto di pretenderlo.

Chiaramente, se dopo aver ricevuto la comunicazione dell’agente che lo avvisa o anche si limita a mandare i dati fiscali del nuovo soggetto, la Mandante prosegue di fatto il rapporto con il nuovo soggetto pagando le provvigioni a quest’ultimo, non potrà poi contestare al primo agente di aver violato alcun divieto nè potrà tirarsi indietro.

Cessione contratto di agenzia: cosa può fare la Mandante

Per quanto è stato detto sopra, la Mandante per legge ha due opzioni:

– accettare la cessione

– non accettare la cessione

La legge tuttavia non tiene conto di tutte le implicazioni commerciali e aziendali che possono rendere per le parti non conveniente nè l’una, nè l’altra opzione.

Per fortuna però la legge non impedisce nemmeno di trovare degli accordi “intermedi”.

La Mandante potrebbe infatti mostrarsi disponibile ad accettare il nuovo soggetto come agente, a condizione che il primo contratto venga chiuso così da iniziare da zero (come anzianità) con il nuovo.

A seconda del potere contrattuale, il primo contratto potrà ad esempio cessare:

  • con la richiesta di dimissioni del primo agente così che le indennità di fine rapporto sul primo contratto si azzerino (caso infrequente ma non impossibile)
  • con un accordo di risoluzione consensuale con il primo agente così da riconoscere, in modo “controllato”, le indennità di fine rapporto sul primo contratto (magari scongiurando una indennità meritocratica), o comunque poter ripartire da zero come anzianità

In nessun caso dovrà essere la Mandante a comunicare la cessazione del primo contratto di agenzia.

Non va infatti dimenticata una premessa importante: la cessione del contratto di agenzia da parte dell’agente dipende da una iniziativa dell’agente, non della Mandante.

Di conseguenza, tutte le eventuali conseguenze derivanti da una iniziativa dell’agente ricadono su di lui.

Ciò al punto che se l’agente dovesse comunicare, ad esempio, alla Mandante di aver già chiuso la propria ditta individuale e aperto una società, prima di averne parlato con la Mandante, la Mandante potrebbe a fronte di questo ritenere cessato (e non ceduto) il primo contratto per iniziativa dell’agente che quindi già solo per questo avrebbe perduto le indennità.

Cessione contratto di agenzia: cosa fare con l’Enasarco

Sotto il profilo Enasarco, bisogna distinguere a seconda che il contratto di agenzia venga “ceduto” e quindi venga trasferito senza interruzione dal primo al secondo agente oppure il primo contratto cessi e ne venga stipulato uno nuovo con il secondo agente

Vediamoli separatamente

Se il contratto di agenzia viene ceduto e non si interrompe

In questo caso, la Mandante NON deve comunicare all’Enasarco la chiusura del primo contratto nè deve iscrivere il nuovo contratto, ma va seguita una procedura specifica.

In particolare, gli agenti interessati, e NON la Mandante, devono compilare un modulo apposito, il Mod. 511/2018, a cui devono allegare l’accordo di cessione fatto con la Mandante (o l’autorizzazione concessa dalla Mandante alla cessione) e con cui in sostanza chiedono di “trasferire” il FIRR versato dalla Mandante da un agente all’altro.

Così facendo, l’Enasarco farà cessare d’ufficio il rapporto con il primo agente e aprirà sempre d’ufficio il secondo contratto di agenzia, “trasferendo” il FIRR dall’uno all’altro senza pagare nulla a nessuno.

La Mandante dovrà monitorare che gli agenti compilino e inviino questo modulo tempestivamente rispetto alla data della cessione del contratto, per fare in modo che la posizione venga aggiornata per tempo e quindi anche le distinta di versamento vengano aggiornate con il nuovo nominativo

Se il primo contratto di agenzia viene cessato e se ne stipula uno nuovo

Nel caso in cui le parti concordino di far cessare il primo contratto e di far partire da zero come anzianità il secondo, la Mandante dovrà seguire la procedura ordinaria e quindi dovrà comunicare entro 30 giorni dalla data di cessazione la chiusura del mandato all’Enasarco e, sempre entro 30 giorni, l’iscrizione del nuovo mandato.

In questo caso non si verifica alcun trasferimento del contratto e quindi l’Enasarco procederà a versare il FIRR al primo agente.

Se hai ricevuto dal tuo agente comunicazioni che hanno a che fare con cambi di codice fiscale e/o partita IVA e non sai come comportarti, possiamo offrirti assistenza per gestire al meglio anche questa situazione. Qui puoi contattarci e saperne di più su di noi.

Buon lavoro!

 

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Disdetta contratto di agenzia o recesso? Quale è la parola corretta da usare in caso di cessazione del contratto di agenzia? Differenze tra teoria e pratica.

Disdetta contratto di agenzia o recesso

Sei una mandante e vuoi comunicare al tuo agente la cessazione del contratto di agenzia e ti chiedi quale sia l’espressione giusta da usare.

Spesso si sente usare la parola “disdetta contratto di agenzia” o “recesso”, talvolta anche “risoluzione” o “rescissione” del contratto di agenzia.

C’è differenza tra queste espressioni e succede qualcosa se si utilizza una piuttosto che un’altra?

Disdetta contratto di agenzia o recesso: da sapere prima

Diciamo questo.

Anzitutto queste parole sono previste in generale per tutti i contratti, non sono quindi specifiche rispetto al contratto di agenzia.

Quindi quanto verrà detto di seguito può valere anche se queste parole vengono impiegate per cessare altri tipi di contratto.

Rispetto al loro significato poi, in “giuridichese” ciascuna di esse è collegata dalla legge a specifici cause di cessazione del contratto.

Quindi queste parole hanno significati diversi e richiamano concetti diversi.

“Fortunatamente” per i “non addetti ai lavori”, rispetto al contratto di agenzia tutte queste parole hanno però come effetto finale quello di esprimere la volontà di fare cessare il contratto.

Di conseguenza, anche se utilizzate impropriamente, con riguardo al contratto di agenzia avranno solitamente il valore che si ricava dal contesto della lettera e dalle caratteristiche del contratto di agenzia che la parte intende cessare.

Rimane però utile se non necessario conoscere e comprendere le differenze, così che il testo della comunicazione non si presti a equivoci.

Vediamo quindi la differenza tra le due principali espressioni normalmente impiegate, cioè disdetta contratto di agenzia e recesso contratto di agenzia.

Disdetta contratto di agenzia

La “disdetta” è prevista nei contratti a tempo determinato (cioè quelli che hanno una data di scadenza) che prevedono rinnovi taciti (ad esempio: “durata del contratto: un anno, rinnovabile di anno in anno”).

In questi casi, è solitamente previsto che il rinnovo tacito è impedito se viene inviata una comunicazione entro un certo termine di preavviso concordato tra le parti (quindi ad esempio: “durata del contratto: un anno, rinnovabile di anno in anno salvo disdetta da comunicarsi 30 giorni prima rispetto alla scadenza”).

La disdetta contratto di agenzia, quindi , è la comunicazione che viene inviata per impedire che il contratto si rinnovi alla sua naturale scadenza.

Questa comunicazione quindi, tecnicamente parlando, non si chiama “recesso” nè in altro modo ma si chiama “disdetta”.

Allo stesso tempo, la “disdetta” identifica solo la comunicazione nei contratti a termine che serve per impedire il loro rinnovo per un altro periodo.

Non viene quindi utilizzata dalla legge, ad esempio, nei contratti senza scadenza, cioè nei contratti a tempo indeterminato.

Recesso contratto di agenzia

Se la “disdetta contratto di agenzia” è la comunicazione con cui viene fatto cessare un contratto a tempo determinato alla sua scadenza, il “recesso” è invece la comunicazione che si utilizza per far cessare i contratti a tempo indeterminato, cioè senza scadenza.

In questo caso, nei contratti di agenzia a tempo indeterminato il recesso è quello che prevede normalmente anche la concessione dei termini di preavviso previsti dagli AEC o dal codice civile (art. 1750 c.c.).

Il recesso è poi anche la comunicazione che può essere utilizzata per far cessare immediatamente il contratto “per giusta causa“, ovvero per un grave inadempimento dell’altra parte.

In questo caso, cioè in presenza di “giusta causa”, il recesso può essere utilizzato non solo nei contratti di agenzia a tempo indeterminato (in questo caso quindi non andrà concesso alcun preavviso che è incompatibile) ma anche nei contratto a tempo determinato per farli cessare “in anticipo”, cioè senza aspettare la scadenza.

Attenzione che in caso di contratto a tempo determinato, un recesso per giusta causa  della mandante prima della scadenza potrebbe far scattare conseguenze economiche molto più pesanti rispetto ad un contratto di agenzia a tempo indeterminato (sulla differenza tra contratto di agenzia a tempo determinato e indeterminato anche in caso di cessazione, qui puoi trovare gli approfondimenti necessari)

Risoluzione, rescissione, e di altre parole

“Simile” al “recesso” è la “risoluzione” del contratto di agenzia.

Giuridicamente parlando non sarebbero la stessa cosa, perchè il “recesso” (legittimo o illegittimo che sia) produce l’effetto di cessare il contratto per il solo fatto di essere ricevuto dall’altra parte, ed è valido anche se comunicato senza motivo (salvo magari il diritto dell’altra parte al risarcimento del danno, alle indennità al preavviso ecc).

La “risoluzione” invece normalmente prevede che sia legata ad un motivo e che, se questo motivo non è valido, la risoluzione non si verifica.

Tuttavia, specie nel contratto di agenzia, queste due espressioni in taluni casi sono utilizzate anche dalla legge in modo per lo più equivalente, come nell’ipotesi di cessazione “per giusta causa”.

In sostanza quindi, la “risoluzione per giusta causa” o il “recesso per giusta causa” del contratto di agenzia producono entrambe la cessazione immediata del contratto e lasciano solo salve eventuali pretese economiche.

La “rescissione” del contratto invece si riferisce a tutt’altre ipotesi, che normalmente non si verificano nel contratto di agenzia.

La rescissione tecnicamente intesa è infatti prevista nei casi in cui si vuole far sostanzialmente annullare il contratto fin dall’inizio per essere stato stipulato in stato di bisogno di cui l’altro si è approfittato.

Per chiudere la panoramica, spesso viene utilizzata anche la parola “annullamento” del contratto di agenzia per comunicare di volerlo far cessare

Anche questo termine di per sè è improprio perchè l'”annullamento” prevede la cancellazione totale del contratto dall’inizio per particolari vizi della volontà (violenza, errore, dolo). Quindi nel contratto di agenzia si tratta di una ipotesi pressochè del tutto remota.

Disdetta contratto di agenzia o recesso: riepilogo

In tutti questi casi, ad ogni modo, quale che sia la parola utilizzata, ciò che è importante è lo scopo per cui utilizzata.

Se è per interrompere normalmente un contratto di agenzia a tempo indeterminato con preavviso, anche se non viene utilizzato questo termine, sarà comunque un recesso contratto di agenzia.

Se è per interrompere un contratto di agenzia a tempo determinato alla prima scadenza utile per impedire il rinnovo (e ciò sia chiaramente detto), anche se venisse utilizzato un altro termine equivarrà ad una disdetta contratto di agenzia.

Se è per interrompere un contratto di agenzia a tempo indeterminato o determinato per “giusta causa”/”grave inadempimento” senza preavviso, sarà un recesso/risoluzione.

In ogni caso, al di là degli aspetti formali, se sei una casa mandante non ci stancheremo mai abbastanza di rimarcare la necessità di evitare cessazioni avventate e di valutare e quantificare prima le possibile conseguenze economiche!

Buon lavoro e in caso di dubbi consulta quello che possiamo fare per la tua azienda.

Avv. Angela Tassinari

 

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agente monomandatario quanto costaAgente monomandatario: come si distingue dall’agente plurimandatario e quanto costa in più?

Se hai intenzione di incaricare un nuovo agente di commercio come monomandatario ma non sai quanto costa o cosa significhi esattamente, di seguito ti darò le risposte necessarie.

Agente monomandatario e agente plurimandatario: differenza

Anzitutto va chiarita la differenza tra agente monomandatario e agente plurimandatario.

In modo intuitivo si sa che un agente “mono”mandatario lavora solo con una casa mandante e con nessun altra.  L’agente “pluri”mandatario invece lavora, o può lavorare, per più case mandanti (purchè non concorrenti, salvo patto contrario).

Quello che forse è  invece meno ovvio è che non basta che un agente lavori “di fatto” per una sola casa mandante per essere definito, giuridicamente parlando, come monomandatario.

E’ infatti necessario, affinchè un agente sia tecnicamente qualificabile come “monomandatario”, che l’agente si sia espressamente impegnato a non lavorare anche per altre aziende.

Quello che distingue quindi l’agente monomandatario dall’agente plurimandatario, giuridicamente parlando, non è per quante aziende effettivamente lavori, ma per quante aziende “possa”, secondo gli impegni contrattuali, potenzialmente lavorare.

Per essere qualificato tecnicamente come agente monomandatario, dunque, non è sufficiente che l’agente si astenga di fatto dal lavorare per altre case mandanti o che di fatto lavori per una sola casa mandante, ma deve anche risultare, da una clausola nel contratto o da un accordo, che si sia impegnato a farlo.

Di conseguenza, nel caso in cui il contratto di agenzia non preveda una clausola espressa con cui l’agente si impegna a non prestare attività per qualunque altra azienda (sia concorrente che non concorrente), o non risultino essere stati conclusi in corso di rapporto accordi in questo senso, anche se l’agente “di fatto” lavora per una sola casa mandante, formalmente parlando rimarrà un agente “plurimandatario”.

In quali casi viene distinto tra agente monomandatario e plurimandatario

Chiarito quando, sotto il profilo tecnico, un agente si definisce “monomandatario” e quando “plurimandatario”, è necessario verificare quando vale questa distinzione.

La legge e la contrattazione nazionale infatti (gli A.E.C. – Accordi Economici Collettivi degli agenti di commercio) per alcune situazioni distinguono tra le due tipologie di agenti.

Vediamo in quali casi.

Enasarco – contributi previdenziali per agente monomandatario o plurimandatario

L’Ente Enasarco, cioè’ l’ente istituito per offrire una copertura previdenziale e assistenziale agli agenti di commercio complementare rispetto a quella dell’INPS, prevede, in certi casi, un importo  diverso a seconda che l’agente sia plurimandatario o monomandatario.

In particolare, per i contributi “previdenziali” cioè quelli da versare per gli agenti individuali e gli agenti società di persone (sas, snc …), l’Enasarco prevede un importo maggiore per agli agenti monomandatari rispetto ai plurimandatari

Per i contributi da versare invece per gli agenti società di capitali (srl, spa) non fa distinzione (in questo caso si tratta di contributi “assistenziali”).

Il calcolo dei contributi previdenziali avviene applicando una certa aliquota sulle provvigioni annue maturate dagli agenti fino a una certa soglia (massimale) e non può essere inferiore ad un certo importo (minimale).

L’importo del contributo previdenziale è a carico del 50% ciascuno. Il versamento va però fatto per intero dalla casa mandante che trattiene la quota dell’agente al momento del pagamento delle provvigioni.

L’aliquota da applicare e’ uguale sia che si tratti di agente plurimandatario sia monomandatario.

Ciò che cambia sono gli importi del “massimale” e del “minimale”.

Quelli previsti per gli agenti monomandatario sono più alti.

Tradotto in “numeri”, per il 2023 l’aliquota da applicare per la contribuzione “ordinaria” e’ stata del 17% complessivo (50% a carico agente e 50% a carico mandante).

I massimali ordinari (cioè la soglia massima delle provvigioni su cui calcolare l’aliquota) sono invece stati:

– euro 42.435,00 per gli agenti monomandatari

– euro 28.290,00 per gli agenti plurimandatari

il minimale e’ stato:

– euro 950,00 per gli agenti monomandatari

– euro 476,00 per i plurimandatari

Gli importi totali che la casa mandante ha versato all’Enasarco per ciascuna tipologia sono quindi stati:

– da euro  950,00 a euro 7.213, 95 (euro 42.435 x 17%) per i monomandatari

– da euro 476,00 a euro 4.809,30 (euro 28.290,00 x 17%) per i plurimandatari

Il “costo” effettivo rimasto a carico della mandante e’ pari al 50% dei suddetti importi, l’altro 50% e’ a carico dell’agente tramite trattenuta sulle provvigioni (salvo il minimale che se non coperto rimane a carico della mandante anche oltre il 50%) e quindi:

massimo euro 3.606,97 per i monomandatari

massimo euro 2.404,65 per i plurimandatari

Per il 2024 l’aliquota è rimasta la stessa ma minimali e massimali saranno soggetti a rivalutazione e quindi sono destinati ad alzarsi. L’ordine di grandezza dei costi tuttavia sostanzialmente rimarrà lo stesso.

Ho parlato di contributi “ordinari” perché per il triennio 2021 – 2023 l’Enasarco ha previsto un regime agevolato per i cosiddetti “giovani agenti” (che potevano essere solo agenti individuali) con cui ha stabilito delle aliquote particolari più basse. I massimali su cui calcolare tuttavia rimangono invariati. I minimali invece sono dimezzati.

Si tratta di un regime in fase di esaurimento anche se potenzialmente ancora in vigore fino al 2025 (per i primi incarichi conferiti nel 2023)

Anche nell’ipotesi dei giovani agenti quindi l’Enasarco, distinguendo tra massimali e minimali per il monomandatario e il plurimandatario, prevede due trattamenti e due costi diversi.

Per inciso, anche se i contributi del monomandatario sono maggiori rispetto a quelli del plurimandatario, e quindi possa sembrare che l’Enasarco non abbia motivo di contestare “maggiori” versamenti da parte della casa mandante, è importante che vengano versati solo se l’agente ne ha effettivo diritto, cioè sia effettivamente monomandatario.  Va infatti ricordato che i contributi si trasformano poi in “pensione” per l’Enasarco, quindi l’Enasarco non ha interesse a riconoscere una pensione maggiore ad un agente che non abbia assunto uno specifico impegno di monomandatario.

F.I.R.R.

Per le case mandanti che sono tenute a versare il FIRR all’Enasarco o comunque a calcolarlo alla fine del rapporto, il conteggio sarà’ diverso a seconda che l’agente sia monomandatario o plurimandatario.

Il FIRR si calcola in particolare per quota annua applicando sulle provvigioni maturate nell’anno certe aliquote su certi scaglioni.

Le aliquote sono uguali per entrambe le tipologie di agenti. Ciò che invece varia è il valore degli scaglioni, pari al doppio per i monomandatari.

La tabella è la seguente:

Monomandatari

4% fino a 12.400
2% da 12.400 a 18.600
1% oltre 18.600

Plurimandatari

4% fino a 6.200
2% da 6.200 a 9.300
1% oltre 9.300

Per fare un esempio, quindi, a parità di provvigioni annue, esempio 50.000,00, la quota FIRR per il monomandatario sarà pari a Euro 934.00 la quota di FIRR invece per il plurimandatario sarà pari a Euro 717,00.

Ricordo che il FIRR è una voce delle indennità di fine rapporto disciplinata dall’AEC, insieme a indennità suppletiva di clientela e indennità meritocratica. Non ha quindi natura di contributo previdenziale o assistenziale.

Per approfondire quando è obbligatorio per la casa mandante calcolare e versare il FIRR ti rimando a questo articolo: FIRR Enasarco: quello che le aziende non sanno

Indennità “meritocratica” A.E.C. Industria 2014

Sempre per rimanere in tema indennità di fine rapporto, la distinzione tra monomandatario e plurimandatario è richiamata anche nel calcolo dell’indennità meritocratica disciplinata dall’AEC. settore Industria 2014.

L’indennità meritocratica è una componente delle indennità di fine rapporto disciplinate dagli AEC (intendo per semplicità i principali AEC cioè: settore Commercio 2009, settore Industria 2014), insieme al FIRR e all’indennità suppletiva di clientela.

Per questo calcolo l’AEC settore Industria 2014 fa questa distinzione, mentre l’AEC settore Commercio 2009 invece non fa alcuna distinzione tra mono e plurimandatraio.

In entrambi gli AEC non c’è alcuna distinzione tra i due contratti nemmeno rispetto al calcolo dell’indennità suppletiva di clientela.

Anche il codice civile, con riguardo all’indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c., non fa distinzione tra agente mono e plurimandatario.

Durata preavviso per agenti monomandatari o plurimandatari

Se il contratto di agenzia e’ regolato dall’AEC, in caso di cessazione del contratto di agenzia a tempo indeterminato sono previsti termini di preavviso diversi a seconda che si tratti di agente monomandatario o plurimandatario.

In particolare in caso di dimissioni da parte dell’agente l’AEC prevede un preavviso fisso di:

  • 5 mesi per l’agente monomanfatario
  • 3 mesi per l’agente pluromandatario

In caso invece di recesso della casa mandante, i termini di preavviso da concedere all’agente variano in base all’anzianità di servizio.

Per l’agente plurimandatario vanno da 3 a 6 mesi. Per l’agente monomandatario sono mediamente maggiori di 2 mesi (da 5 a 9 mesi) in base alla durata del rapporto.

Anche il Codice Civile prevede termini di preavviso in caso di cessazione del contratto di agenzia (da 1 mese a 6 mesi in base all’anzinaità), ma non distingue nè tra dimissioni o recesso della casa mandante, nè tra monomandatario e plurimandatario.  

Per una panoramica più dettagliata rispetto alla durata dei termini di preavviso e al rapporto tra i termini di preavviso previsti dall’A.E.C. e quelli del Codice Civile, in questo articolo ne parlo più diffusamente.

Variazioni unilaterali della casa mandante (art. 2 AEC settore Industria 2014 e art. 3 AEC settore Commercio 2009)

Sempre in caso di applicazione dell’AEC al contratto di agenzia, sono previsti termini di preavviso diversi qualora la mandante intenda comunicare all’agente una variazione “unilaterale”. Per variazione unilaterale si intende quella per cui non viene chiesta all’agente alcuna firma per accettazione. Si tratta cioè di una variazione comunicata di pura iniziativa della casa mandante (se venisse chiesta la firma per accettazione saremmo nel caso della semplice “proposta” di variazione per la quale i termini di preavviso possono quindi essere anche stabiliti tra le parti).

In particolare, in caso di variazioni cosiddette di “media” entità il preavviso da concedere e’ di mesi 2 in caso di agente plurimandatario e di mesi 4 in caso di monomandatario (art. 2 AEC settore Industria 2014 e art. 3 AEC settore Commercio 2009).

Per le variazioni di “lieve” entità (fino al 5%) non e’ dovuto alcun preavviso per cui non vi sono distinzioni tra le due tipologie di agenti.

Per le variazioni di “sensibile” entità il preavviso e’ quello che servirebbe alla casa mandante per recedere dal contratto. In questo caso quindi si fa riferimento ai termini già previsti in precedenza in caso di recesso della mandante con le differenze evidenziate tra mono e plurimandatario.

Per una analisi più dettagliata delle variazioni unilaterali della casa mandante, relativi valori e preavvisi, in questo articolo puoi trovare più informazioni.

Patto di non concorrenza post contrattuale ex art. 1751 bis

Qualora nel contratto di agenzia fosse previsto l’impegno dell’agente a non svolgere attività in concorrenza dopo la fine del rapporto, il codice civile e gli AEC prevedono che debba essere pagato un compenso all’agente che si assume questo impegno.

I criteri per calcolare questo compenso sono disciplinati dall’AEC (anche il codice civile fa riferimento all’AEC per il calcolo).

L’AEC, settore Commercio e settore Industria, prevedono due modalità di calcolo diverse ma entrambi comunque distinguono a seconda che l’agente sia monomandatario o plurimandatario, prevedendo per il monomandatario un compenso più alto.

La particolarità rispetto al patto di non concorrenza post contrattuale ex art. 1751 bis è che è l’unico caso in cui l’AEC prende in considerazione, a certe condizioni, il monomandatario “di fatto”.

Per lo meno, ai fini del compenso l’AEC “equipara” l’agente plurimandatario all’agente monomandatario laddove le provvigioni maturate con la casa mandante interessata al patto siano superiori all’80% rispetto alle provvigioni totali maturate dall’agente con tutti i mandanti in corso. E’ comunque l’agente che deve far valere questa circostanza esibendo alla casa mandante le scritture e i documenti da cui risulti tale situazione.

Per qualsiasi dubbio siamo a tua disposizione, scopri meglio di cosa ci occupiamo!

Buon lavoro

Avv. Angela Tassinari

 

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recesso per giusta causa della mandante

Il recesso per giusta causa da parte della casa mandante è una ipotesi tutt’altro che infrequente.

Vediamo però quando è possibile parlare di recesso “per giusta causa” della casa mandante e quali sono le conseguenze a carico dell’agente di commercio.

Il recesso per giusta causa

Cosa è la giusta causa

Normalmente, quando si parla di recesso per “giusta causa” da un contratto, ci si riferisce alla comunicazione di interruzione del contratto di una parte a fronte di un comportamento dell’altra, ritenuto non più compatibile con la prosecuzione del rapporto.

Affinchè si tratti di una “giusta causa” in senso tecnico, peraltro, non è sufficiente che il comportamento dell’altra parte sia semplicemente non gradito o non accettabile.

Secondo la definizione “legale” contenuta nell’art. 2119 c.c., previsto per la cessazione del contratto di lavoro dipendente ma che trova applicazione anche in via più generale, è necessario che questo comportamento “non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.

La giurisprudenza ha stabilito che questo effetto si verifica in presenza di un “grave” inadempimento agli obblighi contrattuali, tale da far venire meno la fiducia necessaria alla prosecuzione del rapporto.

Non quindi qualsiasi inadempimento, ma solo un “grave” inadempimento e solo se questo – secondo il Giudice – è idoneo a ledere il vincolo fiduciario in modo irreversibile.

Cosa fare in presenza di una “giusta causa”

Dalle indicazioni sopra fornite si ricava quindi che:

  • la cessazione deve essere con effetto immediato e non può essere concesso alcun preavviso. La concessione del preavviso è infatti incompatibile con quanto previsto dalla legge circa l’impossibilità, anche solo provvisoria, di proseguire il rapporto;
  • per lo stesso motivo, l’inadempimento contestato deve essere appena accaduto o per lo meno appena scoperto. Non può trattarsi di un inadempimento risalente nel tempo poichè la scelta di continuare il rapporto per un certo tempo nonostante quanto accaduto è contraria al principio di “improseguibilità” del rapporto. In sostanza, se il rapporto è proseguito significa che l’inadempimento non era poi cosi tanto grave;
  • sempre per lo stesso motivo, anche se la cessazione viene comunicata appena scoperto l’inadempimento, deve trattarsi di un inadempimento “grave”, non di un qualunque inadempimento, tale da ledere irrimediabilmente la fiducia necessaria ad una corretta futura prosecuzione del rapporto;
  • è il Giudice che in caso di contenzioso stabilisce se si tratti di “giusta causa” o meno. Di conseguenza non basta che sia la parte a sostenere che si tratti di un grave inadempimento. Esiste un terzo soggetto, il Giudice, che può dire la sua, con tutti i rischi del caso sul fatto che possa anche valutare diversamente

Chi può recedere per giusta causa dal contratto di agenzia

Da un contratto di agenzia possono recedere per giusta causa sia l’agente sia la mandante.

Poichè ciascuno infatti ha degli obblighi da rispettare e delle condotte da mantenere, entrambe le parti possono incorrere in violazioni che l’altra parte può far valere come “giusta causa”.

Per l’agente ad esempio possono costituire giusta causa: il mancato pagamento delle provvigioni, la violazione – se concessa – dell’esclusiva di zona, le modifiche unilaterali (cioè senza consenso) del contratto di agenzia da parte della mandante.

Per la casa mandante invece possono costituire giusta causa: la violazione dell’obbligo di non concorrenza (in caso di plurimandato) o lo svolgimento di altri incarichi (in caso di monomandato), il trattenimento indebito da parte dell’agente di somme dei clienti, a certe condizioni il mancato raggiungimento dei minimi di vendita.

Effetti del recesso per giusta causa da parte della casa mandante

In caso di recesso per giusta causa da parte della mandante, secondo i principi sopra indicati la comunicazione deve comportare il recesso immediato del contratto di agenzia senza dunque possibilità di concedere un preavviso.

Qualora l’agente non contestasse la giusta causa, oppure, in caso di contestazione, qualora il Giudice desse ragione alla casa mandante, l’effetto a carico dell’agente sarebbe quello di perdere il diritto all’indennità di fine rapporto e al preavviso.

Va precisato che se il contratto di agenzia è a tempo “determinato” (ovvero con una data di scadenza) non si tratterà per l’agente di perdere il “preavviso” (che per definizione non è previsto in un contratto a tempo determinato) bensì di perdere tutto il periodo dalla comunicazione di recesso fino alla prima data di scadenza del contratto di agenzia successiva alla comunicazione di recesso (in questo articolo trovi la differenza tra contratto di agenzia a tempo determinato e indeterminato)

Laddove invece il Giudice desse torto alla mandante, l’agente avrebbe diritto all’indennità di fine rapporto e, in caso di contratto di agenzia a tempo indeterminato, al relativo preavviso (e quindi, non essendo stato concesso, alla relativa indennità per mancato preavviso)

In caso di contratto di agenzia a tempo determinato, l’agente avrebbe diritto, oltre alle indennità di fine rapporto, al risarcimento del danno pari alle provvigioni perdute fino alla prima scadenza del contratto di agenzia successiva alla comunicazione di recesso.

Addebito del preavviso all’agente in caso di recesso per giusta causa della mandante

Tra gli effetti del recesso per giusta causa in caso di contratto a tempo indeterminato non ho indicato anche il diritto da parte della mandante di addebitare il preavviso all’agente.

Infatti, la mandante ha diritto di interrompere con effetto immediato il contratto e di non pagare all’agente il preavviso, ma non ha anche diritto di addebitare tale preavviso all’agente.

Questa conclusione discende direttamente dall’art. 2119 c.c. citato sopra il quale infatti prevede: “Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente” (che è quella di mancato preavviso).

La norma specifica espressamente che solo al prestatore di lavoro (e quindi all’agente) che recede per giusta causa spetta l’indennità per mancato preavviso. La specificazione è sufficiente per escludere che tale diritto spetti anche alla casa mandante. La stessa quindi non potrà addebitare o trattenere alcun preavviso all’agente in caso di recesso per giusta causa.

L’opportunità di procedere ad una stima dei costi prima di inviare il recesso per giusta causa

Anche senza il diritto di poter addebitare il preavviso, resta il fatto che, in presenza di un recesso per giusta causa fondato, il “risparmio” per la mandante dato dal non dover pagare le indennità di fine rapporto e il periodo di preavviso può costituire già un grosso vantaggio.

Allo stesso tempo, “dire” di recedere per giusta causa è altro dall’aver effettivamente ragione e quindi dall’ottenere in automatico tali effetti (non pagare le indennità di fine rapporto e il preavviso).

Anzi, il rischio potrebbe andare incontro a costi ulteriori qualora qualcosa “andasse storto” (ad esempio a dover pagare l’indennità per il preavviso che invece l’agente avrebbe potuto lavorare con un recesso “normale”).

In mancanza dunque di “automatismi”, risulta importante per una casa mandante verificare prima di comunicare un recesso per giusta causa al proprio agente quanto gli potrebbe “costare” se la giusta causa alla fine non venisse riconosciuta.

E’ quindi tanto importante raccogliere, analizzare i fatti e redigere la lettera di recesso per giusta causa, quanto calcolare preliminarmente i potenziali costi che l’azienda potrebbe dover affrontare.

Se sei un’azienda o un professionista incaricato di gestire una situazione come quella sopra descritta e sei interessato ad avere un supporto o una visione a 360 gradi della situazione, saremo lieti di offrirti assistenza.

Buon lavoro!

 

 

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